martedì 29 marzo 2016

il manifesto 29.3.16
Bernie ora crede nella rimonta
Stati uniti. Vittoria di Sanders a Washington, Alaska e Hawaii. Hillary Clinton è più vicina
di Marina Catucci

NEW YORK Washington state, Alaska, Hawaii: Bernie Sanders ha vinto con grandi numeri le primarie democratiche che si sono svolte in questi tre stati. Da Seattle ad Honolulu si è preferito il socialista Sanders alla pragmatica donna di partito Clinton.
Questi risultati erano esattamente ciò che serviva alla campagna di Sanders. La vittoria è arrivata con oltre il 70 per cento dei voti in uno stato ricco di delegati come quello di Washington e ha messo un po’ di ciliegine sulla torta con un margine schiacciante alle Hawaii – dove lo ha votato il 70 per cento degli elettori – e ha ottenuto una vittoria ancora più grande in Alaska (un impressionante 82 per cento).
Sanders ha ristretto il vantaggio di Clinton da 294 a 259. «Quando la classe lavoratrice e i giovani, quando le persone che avevano rinunciato a partecipare al processo politico tornano al voto, è così che si vince», ha dichiarato Sanders dopo le vittorie alle quali va aggiunta quella dei Democrats Abroads, un braccio ufficiale del partito che si occupa degli iscritti che vivono fuori dal territorio nazionale. La votazione per le primarie dei democratici all’estero ha visto, anche lì, una vittoria di Sanders che ha totalizzato il 69 per cento dei voti, su 34.570 cittadini che hanno votato in 170 paesi.
Dopo questa necessaria boccata d’aria per la sua campagna arriva nuovamente la sfida per arrivare al magico numero di 2.383, quello dei delegati necessari per essere il candidato nominato alle presidenziali. Ora il compito di Bernie è trasformare questo slancio in vittorie simili in stati chiave come la Pennsylvania, il New Jersey, la California e New York, e compensare quello che è ancora un significativo deficit di delegati. In tutti questi stati chiave al momento – secondo i sondaggi – Sanders è ancora in svantaggio.
Questi dati però non spaventano i sostenitori del candidato socialista: all’apertura del suo centro operativo elettorale newyorchese, si è svolta una specie di festa spontanea dove sono arrivati musicisti, sostenitori, entusiasti, una base mobilitata e decisa a trasmettere un messaggio che vuol diventare virale.
Nello stato di New York si voterà il 19 aprile, una data che vedrà sia le primarie democratiche sia quelle repubblicane e l’affluire di tutti i movimenti (o del super movimento trasversale che in effetti è), ma in questi giorni di preparazione sembrano esserci – o quanto meno sono gli unici visibili – solo i sostenitori di Sanders, iper e capillarmente attivi nel portare le persone al voto ed a portarle per Sanders. «Dopo aver provato per decenni il capitalismo e averne visto i frutti – dice Shawn, ad un banchetto per Sanders a Brooklyn – perché quanto meno non dare una chance al socialismo e vedere che succede?»
E questo è forse l’effetto macroscopico che Sanders ha avuto, che raggiunga o meno il numero di delegati necessari ad essere il candidato: il termine socialismo che stava timidamente facendo capolino tra le linee politiche americane (vedi il sindaco di New York, De Blasio) è completamente sdoganato e abbracciato da una nuova generazione di elettori che si dichiarano fieramente di sinistra. Castro chiama Obama «hermano», la Russia non è «il» nemico ideologico, gli Stati uniti stanno scoprendo che ciò che era un tabù può, invece, essere una prassi politica non demonizzata.
Nelle stesse ore l’attivista e comunista afroamericana Angela Davis, che pur non avendo dato nessun endorsement ufficiale, si è sempre espressa positivamente su Sanders, ha dichiarato alla trasmissione radiofonica Democracy Now che la ragione per cui non appoggia nessun candidato è dovuta al fatto di pensare che all’America manchi sia un terzo partito sia la rottura di questo sistema non del tutto democratico dove o si è democratici o repubblicani.
In un momento in cui i significanti democratico e repubblicano non si sa più esattamente a cosa e chi si riferiscano, l’idea di un sistema più pluralista non sembra poi tanto balzana.