il manifesto 24.3.16
Diem25, la sfida dell’organizzazione
Yanis
Varoufakis. Politici, movimenti e associazioni a Roma: «Democratizzare
l’Unione Europea». Le analisi, le proposte e i rebus politici
dell'europeismo critico
di Roberto Ciccarelli
ROMA
Dieci anni, al massimo, per democratizzare l’Europa. Ma il tempo sta
scadendo, le conseguenze del fallimento dell’UE si fanno minacciose,
mentre la prospettiva di tornare agli Stati-Nazione non è più
rassicurante. All’assemblea all’Acquario Romano tenutasi ieri a Roma
Yanis Varoufakis è stato più preciso, se è possibile. Incontrando
movimenti, partiti e associazioni interessati al progetto di Diem25
[Democracy in Europe Movement 2025], Varoufakis ha rievocato la crisi
degli anni Trenta.
Oggi ci troviamo in una altrettanto grave, per
questo bisogna superare le vecchie divisioni e ragionare sullo stato di
eccezione. Questo sembra essere il senso del suo appello ai democratici,
liberali, alla sinistra, ai radicali o ecologisti. La proposta,
contenuta nel Manifesto di Diem25 «non è di destra o di sinistra», ma
«democratica». Da un lato, esclude razzisti e xenofobi, dall’altro lato
mira a ripoliticizzare un processo decisionale opaco e imposto
dall’alto, presentato come «tecnico» o «neutrale». Un approccio, questa è
l’ipotesi, che può essere definito nei termini di una
«contro-democrazia». L’obiettivo è – con le parole del filosofo francese
Etienne Balibar – «democratizzare la democrazia», tornare ai suoi
principi attraverso la creazione di un conflitto inedito a livello
locale e transnazionale. «Multilivello» si è detto.
Varoufakis è
fiducioso: «Quando abbiamo pubblicato il manifesto – ha detto –
centinaia di gruppi si sono formati spontaneamente sulla nostra
piattaforma online». Si punta alla partecipazione per creare «comunità»
capaci di «deliberare su proposte concrete» per un programma valido per
le elezioni europee del 2019. Si punta a un’«assemblea costituente» per
passare da un’Europa del “noi i governi” a un’Europa del «noi popoli
Europei». Obiettivo ambizioso, vista l’aria che tira, ma non troppo. Nel
manifesto di Diem ci sono molti punti ricorrenti nell’agenda dei
partiti esistenti. Ad esempio, la trasparenza del processo decisionale,
la diffusione in streaming delle riunioni istituzionali Ue, la riforma
dei trattati o dello statuto della Bce.
Dalla riunione italiana
sono emersi i temi «sociali»: tutele universalistiche per i lavoratori
(e non), il reddito di base, il salario minimo orario europei, l’Europa
delle città. Elementi mancanti nella piattaforma di Diem, ma ricorrenti
nelle sinistre europee. Il problema è come realizzarli, dopo tanti
fallimenti. La trasparenza, e il consenso dell’opinione pubblica non
bastano. «Serve l’organizzazione – ha detto il filosofo croato Srecko
Horvat, cofondatore del movimento – Diem è una sintesi di tre livelli:
l’internazionalismo radicale dei social-forum inizio anni Duemila; le
occupazioni com’è stato il Teatro Valle e partiti come Syriza e
Podemos».
Non tutti questi modelli hanno funzionato e Horvat lo
riconosce: «Se si va avanti da soli, si fallisce. Vogliamo favorire
processi di convergenza e una dialettica tra orizzontalità e
verticalità». «Diem può contenere rapporti che non sono necessariamente
pacificati tra soggetti diversi della politica – sostiene Sandro
Mezzadra, docente a Bologna e interlocutore italiano del movimento – È
un campo di tensione che prefigura uno spazio europeo futuro».
Come
si pone la sinistra europea (Gue) rispetto a Diem? «La nostra idea –
risponde l’eurodeputata Eleonora Forenza – è riorganizzare il partito
alla luce di movimenti come Diem o del “Plan b” che si è riunito a
Madrid. Sarà uno dei punti del prossimo congresso: non può esserci una
democratizzazione se non c’è un demos che confligge contro l’austerità e
la fortezza Europa. Mi auguro che le prospettive convergano».
Dalla soluzione di questi rebus politici dipende il futuro dell’europeismo critico.