il manifesto 23.3.16
La rotta di Bolloré
Ri-mediamo. Il
patron di Vivendi non ha dubbi sulla sua collocazione geopolitica. E Il
tentativo di siglare un’intesa con Mediaset Premium sembra un cavallo di
Troia per agganciare la casa madre del biscione
di Vincenzo Vita
Lo
yacht è il messaggio, giusto per parafrasare ancora McLuhan. E, sul
lussuoso naviglio di Vincent Bolloré, Sarkozy andò a festeggiare
l’avvenuta elezione alla presidenza francese. Così è antica la
contiguità tra l’uomo d’affari bretone e Silvio Berlusconi. Insomma, il
patron di Vivendi (società assai attiva anche nelle comunicazioni,
presente in Italia con un significativo 24,9% di Telecom, nonché un
discreto gettone in Mediobanca) non ha dubbi amletici sulla sua
collocazione geopolitica. Anzi. Il tentativo in corso di siglare
un’intesa societaria con Mediaset Premium per la pay tv sembra un
cavallo di Troia per agganciare la casa madre del biscione, cui in
cambio verrebbe garantito un dolce atterraggio nell’universo delle
telecomunicazioni; dove già la preziosa costola tecnologica di Cologno
monzese Ei Towers ha messo un piede, prima con l’Opa su RayWay e ora con
l’offerta su Inwit di Telecom.
Insomma, Bolloré riuscirebbe a
conseguire tre risultati in un solo colpo: cambiare la strategia dell’ex
monopolista riaprendo il fronte dei media, aprire lo scontro sui
contenuti on demand con Netflix e i nuovi potenti della rete, realizzare
un bel matrimonio se non d’amore almeno di convenienza con l’ex
cavaliere. L’attrazione fatale d’Oltralpe ha varcato la soglia di
palazzo Chigi, magari sotto il titolo dello sviluppo della banda larga.
Il presidente del consiglio parrebbe aver dato la sua benedizione,
ovviamente con la solita premessa che è il mercato a decidere. Frase
rivelatasi ogni volta di pessimo auspicio.
Infatti, tutto questo
ha una finalità che via via verrà in chiaro: la conquista da parte di un
asse conservatore del peso prevalente nel settore in Europa, luogo
quest’ultimo di un prevedibile scontro sui destini prossimi venturi sul
quale sarà determinante il controllo delle piattaforme informative.
Siamo dentro un Risiko complesso, dove l’aspetto politico conta molto.
Si potrebbe immaginare una qualche intesa con il “terzo uomo”, il tycoon
Rupert Murdoch. Del resto, le iniziative in corso, ivi compresa la
vicenda Stampa-Repubblica, hanno il sapore di una pole position in vista
della gara senza esclusione di colpi. Una lotta tra capitalisti,
avrebbero scritto i classici, ma dove si gioca una partita colossale che
tocca l’intera società, essendo la posta la conquista dell’immaginario
collettivo. I modelli culturali, gli stili di vita e le logiche dei
consumi. L’avvenuto incrocio tra i diversi media rischia, se non si
definiscono regole adatte alla nuova soglia dell’evoluzione, di chiudere
definitivamente lo scenario, con la suddivisione spietata del campo:
pochissimi primi attori da una parte, un enorme numero di comparse
ridotte alla schiavitù intellettuale dall’altra.
Servono normative
adeguate a livello europeo, ma è lecito attendersi un’azione meno
criptica e difensiva pure dalle e nelle sedi istituzionali italiane.
Dov’è finita la lingua politica? L’età dell’oro del vecchio mappamondo
(in cui Mediaset raccoglie il 57% della pubblicità televisiva e il 35%
di quella radiofonica) è agli sgoccioli e si è passati ad una serie
superiore. La rete delle telecomunicazioni è un bene comune e non è
immaginabile che un aspetto cruciale dell’edificio democratico divenga
merce di scambio o mero teatro di scontro. In breve: va riacquisita alla
sfera pubblica. Non è il ritorno dello statalismo. Se mai, è il
contrario.
Solo così entra in scena il plusvalore sociale, che
apre i cancelli serrati dal mercato dei forti. E non si smantellano la
forza lavoro e i piccoli azionisti.