il manifesto 22.3.16
L’economista combattente
Ritratti. 
Un ricordo di Suzanne de Brunhoff, a un anno dalla sua morte. Tra gli 
elementi portanti del suo pensiero, la teoria del valore-lavoro, la 
centralità della lotta di classe e la critica incessante del capitalismo
di Riccardo Bellofiore
Suzanne
 de Brunhoff, scomparsa un anno fa, è stata quell’esemplare raro di 
economista marxiano che non è mai dogmatico, sempre innovativo. Si 
potrebbe applicare a lei ciò che Rosa Luxemburg scrive in conclusione 
dell’Anticritica: «Il marxismo è una dottrina rivoluzionaria che lotta 
per sempre nuove conquiste della conoscenza, che da nulla aborre più che
 dalle formule valide una volta per tutte, che mantiene viva la sua 
forza nel clangore delle armi incrociate dell’autocritica e nei fulmini e
 tuoni della storia». Come Luxemburg, de Brunhoff è stata per tutta la 
vita sia una teorica che una combattente contro lo sfruttamento e 
l’oppressione. Nella sua riflessione ha mantenuto fermi i pilastri 
portanti della critica dell’economia politica: la teoria del 
valore-lavoro; la centralità della lotta di classe; la critica 
incessante del capitalismo. Al tempo stesso, ha messo in discussione i 
limiti del marxismo così come ci era stato consegnato, e ha mantenuto un
 dialogo con le tradizioni keynesiana e sraffiana.
Il suo primo 
libro Capitalisme financier public è del 1965, e studia il ruolo 
economico dello stato in Francia dal 1948 al 1958. La notorietà 
internazionale le venne con il successivo La monnaie chez Marx (1967), 
tradotto in italiano da Editori Riuniti. Gli aspetti monetari nella 
tradizione marxiana erano stati trascurati, con poche eccezioni 
(Hilferding e la Luxemburg, ma anche Hans Neisser e Karl Niebyl). 
Prendendo a prestito la distinzione da Schumpeter, de Brunhoff leggeva 
il Capitale come un esempio di analisi monetaria interna a una teoria 
monetaria del credito: il denaro è endogeno e non-neutrale, e non va 
identificato con il credito o con il capitale. In un’economia di 
mercato, l’equivalente universale costituisce un «vincolo monetario» per
 la natura incerta della validazione sociale finale. Benché il denaro 
non sia sufficiente a spiegare lo sfruttamento capitalista, esso è 
comunque cruciale per comprendere l’«oggettività» della crisi.
Il 
suo secondo capolavoro – pubblicato dopo L’offre de monnaie (1971) e La 
politique monetaire con Paul Bruini (1973), anch’essi tradotti in 
italiano – fu État et capital. Recherches sur la politique économique 
(1976), edito nel nostro paese da Feltrinelli. Sullo sfondo del crollo 
del sistema di Bretton Woods nel 1971-72 e della grande crisi 
strutturale del 1974-75, de Brunhoff innesta l’argomentazione storica 
dentro la deduzione categoriale, con un decisivo avanzamento 
dell’analisi. Lo stato è istituzione non-capitalistica, esterna e 
immanente, necessaria a «governare» la riproduzione delle due merci 
«speciali», forza-lavoro e il denaro come equivalente universale. La 
«politica economica» emerge soltanto dopo gli anni 30 del secolo scorso,
 quando le valute divengono inconvertibili su scala nazionale. Le 
politiche fiscali, monetaria e sociale devono garantire la «connessione»
 tra denaro e forza-lavoro: la banca centrale è ora in grado di 
trasformare la ante-validazione bancaria della realizzazione delle merci
 in una pseudo-validazione sociale, che apre alla possibilità di un 
divario inflazionistico. Fu così possibile che lo sganciamento del 
dollaro dall’oro nel 1971, e i successivi cambi flessibili, aprissero la
 via a una frammentazione del sistema monetario internazionale: 
l’inflazione accelerata diveniva la nuova forma della crisi di 
sovraproduzione. In quel libro, de Brunhoff entrava in un dialogo 
proficuo con l’espressione più interessante dell’operaismo italiano, la 
rivista Primo Maggio, che aveva letto la politica economica e monetaria 
dopo il 1971 come espressione di un diretto scontro di classe che 
opponeva lo stato come capitalista collettivo al lavoro socializzato.
Negli
 anni Settanta de Brunhoff ebbe un ruolo determinante nel mettere in 
relazione una più giovane generazione di marxisti francesi. Nel 1973 fu 
promotrice della fondazione dell’Acses (Association pour la Critique des
 Sciences Economiques et Sociales), e con Michel Beaud e Claude Servolin
 pubblicò su Le Monde un importante intervento dedicato a «La crisi 
della scienza economica» (tradotto in Italia da Mariano D’Antonio nel 
volume La crisi post-keynesiana), interpretandola come una crisi 
politica degli economisti. Nel successivo libro Les rapports d’argent 
(1979) criticava alcuni dei più brillanti economisti della giovane 
generazione (Aglietta, Benetti e Cartelier) ritenendo che stessero 
abbandonando la teoria marxiana del denaro e del valore, e finissero con
 l’aderire all’idea del potere come dominio per dar conto dello 
sfruttamento e del plusvalore.
De Brunhoff era certamente molto 
critica rispetto al riemergente approccio dell’equilibrio (si veda il 
suo ultimo libro L’heure du marché, critique of liberalism, 1986). Ma lo
 era anche nei confronti di una «economia politica della merce senza 
denaro» (così leggeva il neoricardiano approccio del sovrappiù) o di una
 «economia politica del denaro senza valore» (così definiva le nuove 
eterodossie monetarie). Negli anni 80 rivolgeva la sua analisi alla 
instabilità dell’arena economica internazionale e allo scontro tra 
grandi valute. Negli anni 90 fu scettica del progetto europeo di «moneta
 unica», a cui contrapponeva una «moneta comune» non circolante tra i 
cittadini ma solo tra banche centrali in un sistema di cambi fissi ma 
aggiustabili (il riferimeno era al bancor di Keynes). Poco dopo appoggiò
 la Tobin tax e partecipò alle attività di Attac (Association pour la 
taxation des transactions financières et pour l’aide aux citoyens).
Suzanne
 de Brunhoff era nata Simone Blum il 16 di giugno del 1929, a 
Strasbourg, da genitori ebrei. Per evitare il rischio di deportazione il
 cognome di famiglia fu cambiato in Baulieu, e il suo nome divenne 
Suzanne. Alla fine della guerra si trasferirono a Parigi, dove nel 1950 
sposò Mathieu de Brunhoff (figlio di Jean de Brunhoff, il creatore di 
Babar). Le esperienze giovanili del nazismo e del razzismo, e poco dopo 
del colonialismo francese in Indocina e Algeria, ne fecero una 
combattente tenace per l’eguaglianza nei diritti politici e sociali. 
Laureata in filosofia alla Sorbona, venne ingiustamente esclusa dai 
vincenti per la agrégation nonostante fosse sostenuta dal commissario 
Georges Canguilhem, che ne apprezzava quella che definì la sua 
«intelligenza maschile». Nel 1960 fu assunta come ricercatrice di 
economia al Cnrs (Centre National de la Recherche Scientifique), dove 
più tardi fu nominata direttore di ricerca. Membro del partito comunista
 francese, se distanziò a causa delle posizioni ambigue sulla guerra di 
Algeria; il suo aiuto al fronte di liberazione nazionale algerino fu 
attivo, come membro del Réseau Curiel, correndo anche rischi personali. I
 suoi ultimi anni sono stati segnati dall’Alzheimer, sino alla morte il 
12 marzo 2015.
 
