domenica 13 marzo 2016

il manifesto 13.3.16
Italicum e Ulivo, gli opposti Pd
Democrack. Polemica fra Renzi e minoranza: «C’è un disegno per screditare i gazebo. Mi accusano di non aver rispetto per il centrosinistra? Sono quelli che lo hanno rovinato». Bersani: «Non merita commento». Dal luogo di culto prodiano la ’sinistra’ chiede la modifica della legge elettorale. Per dire sì al quesito costituzionale
di Daniela Preziosi

Lo scontro va avanti per tutto il pomeriggio a colpi di dichiarazioni e twitter. Renzi attacca da Roma, dalla terza giornata di Classe dem, la scuola di formazione Pd, dopo essere andato a trovare l’anziano leader radicale Marco Pannella («Un omaggio doveroso a un grande della storia italiana, l’ho trovato bello tonico»); la minoranza bersaniana risponde dalla kermesse di Perugia. Renzi prima promette che non userà l’occasione per «litigare», ma poi si fa prendere la mano: i giovani dem dispensano applausi ad ogni passaggio, il segretario-premier non resiste e si lancia nel dibattito postumo sull’Ulivo e sul centrosinistra. La minoranza dem, insieme a D’Alema e anche alla sinistra fuori del Pd lo accusa di essere il killer del centrosinistra per via dell’Italicum e del progetto di ’partito della nazione’: «Quelli che oggi mi vogliono dare lezioni e chiedono più rispetto per la storia dell’Ulivo sono quelli che hanno distrutto l’Ulivo consegnando per vent’anni anni l’Italia a Berlusconi». Da Perugia, e precisamente dal luogo in cui nel 2006 Prodi riunì i suoi ministri per affiatare il governo – senza ottenere i risultati sperati, notoriamente – risponde Pier Luigi Bersani, già ministro dei governi dell’Ulivo e dell’Unione: «Affermazioni del genere non meritano un commento. Renzi ricordi che noi l’abbiam fatto l’Ulivo».
Poi c’è la questione delle primarie. A Roma D’Alema annuncia che non voterà il candidato dem Giachetti; a Napoli Bassolino chiede di annullare il risultato della consultazione. Renzi, senza nominare nessuno dei né l’ex premier né l’ex governatore, non fa sconti: «Esiste un disegno per screditare le primarie», «Il principio del ’chi perde se ne va’ non mette in discussione le primarie ma mette in discussione il partito. Chi perde resta nel partito e fa battaglia dentro il partito, come ha detto Cuperlo che ringrazio, non prende il pallone e se ne va per conto suo e scappa». Infine: la minoranza Pd medita la scissione e punta a far perdere Renzi alle amministrative, come da lettura dei media? «Chi cerca di utilizzare strumentalmente il risultato delle amministrative in chiave interna sbaglia campo di gioco. Il campo di gioco c’è: chi vuole mandarmi a casa, la battaglia la farà al congresso del 2017». Ma da Perugia le accuse sono rispedite al mittente: «Noi non restiamo nel Pd, noi siamo il Pd. Il che è una cosa più profonda», si sgola Roberto Speranza. E su Renzi: «Sono abituato a un’idea di partito in cui il segretario lavora a unire il Pd, non a insultare la minoranza».
I bersaniani restano nel partito «con tutti e due i piedi», ripetono Speranza e Bersani.
Ma è vero che non è ancora chiaro come condurranno la campagna del referendum costituzionale. Da Perugia viene rilanciata la richiesta di cambiare l’Italicum. Spiega il senatore Miguel Gotor: «Il problema è il rapporto tra la riforma del bicameralismo e la legge elettorale», «A me interessa capire quale sarà il rapporto con l’Italicum. Se il rapporto resterà questo, ci sarà un tipo di voto. Se sarà modificato, come auspico, ci sarà il sostegno al referendum». E il deputato Andrea De Giorgis: «La legge elettorale così com’è indebolisce la solidità del governo, in quanto riduce e mortifica la rappresentanza». Sull’Italicum, comunque votato dalla gran parte della minoranza Pd, Bersani è drastico: «Ne penso tutto il peggio possibile. Non è una novità e penso che sarebbe interesse di Renzi cambiarlo» perché M5S e destre «avrebbero l’occasione di mettere insieme un listone al ballottaggio e tentare di prendere tutto. Ma non sono sicuro che Renzi abbia ben presente il rischio».
Ma la modifica dell’Italicum e quella della legge elettorale dei futuri senatori sono condizioni per dire no al referendum, libertà che peraltro Renzi ha già annunciato di non voler concedere? Per ora la minoranza Pd non risponde: «Il referendum è lontano», ragiona Gotor, «ora siamo impegnati nelle amministrative che vengono prima e condizioneranno anche il tipo di campagna referendaria del Pd, sia della maggioranza sia della minoranza».
Chi invece ha di fatto già fatto capire che al referendum voterà no è Massimo D’Alema. Che nel pomeriggio arriva a Perugia per discutere di medioriente con il direttore della Stampa Maurizio Molinari. E decide di non rinfocolare le polemiche, e magari anche di rimediare ai giudizi poco generosi che nei due giorni precedenti ha espresso nei confronti della minoranza Pd: «Vorrei esprimere mio apprezzamento per il lavoro di elaborazione, mai come in questo momento c’è bisogno di idee nuove per rilanciare il ruolo della sinistra senza ripercorrere ricette già sperimentate da altri o anche da noi in altre epoche storiche». Vuole essere una frase gentile, ma nel luogo del rimpianto prodiano non suona poi così bene.