il manifesto 12.3.16
Shujayea torna a vivere
Striscia di Gaza. Reportage dal sobborgo orientale di Gaza city ridotto in macerie nel 2014 dai bombardamenti israeliani
Le
famiglie palestinesi stanche di aspettare cominciano a ricostruire da
sole. Ma l'emergenza sfollati resta alta. Ancora senza casa 88.000
abitanti, metà dei quali bambini
di Michele Giorgio
SHUJAYEA
(GAZA) È un giorno di festa per i fratellini Hatem e Ahmad, 6 e 8 anni,
e per tutti gli altri bambini di questa parte di Shujayea, conosciuta
come “Tawfiq”, dal nome della moschea distrutta dai bombardamenti
israeliani dell’estate 2014, come gran parte di questo sobborgo di Gaza
city a ridosso delle linee di confine. Qui fino alla notte del 19 luglio
di due anni fa vivevano circa 100mila persone, oggi è abitata solo in
minima parte. «Voglio la nostra casa accanto al campo di calcio» dice
quello più grandicello, Ahmad. «Mi porterai a giocare con te, vero?» gli
domanda preoccupato Hatem mentre prova ad incastrare due moduli di
cartone, due “edifici” della Shujayea che sognano i più piccoli, una
città a misura di bambino. Intorno a loro, tra colonne di cemento di una
casa in costruzione, altri ragazzini, aiutati da giovani volontari, si
affrettano a montare i moduli colorati. La Shujayea ideale per i più
piccoli è una iniziativa di due associazioni palestinesi, legata al nome
di Vittorio Arrigoni. A sponsorizzarla è il centro culturale italiano
di Gaza che porta il nome dell’attivista e scrittore, nonchè
collaboratore del manifesto, assassinato cinque anni fa da un sedicente
gruppo salafita. «Sono moduli di formazione preparati durante il
seminario ‘Ricostruzione ed Educazione’ che abbiamo tenuto a Gaza tra
dicembre e gennaio, grazie alla presenza di 20 educatori italiani giunti
da Milano. Lo scopo è stato quello di permettere ai bambini di indicare
agli adulti in che direzione muoversi per ricostruire a Shujayea»,
spiega Meri Calvelli, responsabile del centro “Vittorio Arrigoni”.
A
dire il vero non è proprio quella che desiderano i bambini la Shujayea
che sta rinascendo poco alla volta. Da alcuni mesi grazie all’arrivo di
fondi internazionali e arabi (il Qatar in particolare) e ai
finanziamenti ricevuti da un buon numero di famiglie che hanno avuto la
casa distrutta dai bombardamenti aerei e dalle cannonate, e grazie alla
rimozione del 79% delle macerie fatta dall’Undp e da alcune Ong (anche
straniere) che hanno lavorato con le municipalità, i palestinesi di
Shujayea hanno cominciato a darsi un tetto. Si lavora in fretta,
l’urbanistica è una materia abbastanza sconosciuta da queste parti. Però
è difficile dare torto a chi aspetta da troppo tempo. Le promesse di
miliardi di dollari fatte alla conferenza dei donatori al Cairo
nell’autunno del 2014 e mantenute solo in parte, le forti restrizioni
imposte all’ingresso a Gaza dei materiali per l’edilizia che solo da
qualche mese Israele ha cominciato ad allentare, hanno spinto tante
famiglie a prendere l’iniziativa. «Anche la mia famiglia ha ricevuto una
piccola somma dal Qatar. Qui siamo tutti muratori e la casa abbiamo
deciso di costruircela noi. Siamo stanchi di vivere nei rifugi, la vita è
già difficile a casa nostra», dice Amer al Helo, 25 anni, impegnato ad
impastare la calce. Anche l’Italia sta dando il suo contributo. «Il
nostro finanziamento è di oltre 16 milioni di euro ed è mirato a ridare
una casa in tempi ragionevolmente brevi a 28mila palestinesi nella zona
di al Nada, a Beit Hanun, non lontano dal valico di Erez», riferisce
Vicenzo Racalbuto, direttore dell’ufficio di Gerusalemme dell’Agenzia
Italiana della Cooperazione allo Sviluppo. Il progetto, al quale
partecipano anche la società italiana “Studioazue” (Architettura
sostenibile) e l’associazione palestinese “Dar”, prevede inoltre la
redazione del piano regolatore della zona e la ricostruzione, a Gaza
city, dell’Italian Mall, un edificio di 17 piani distrutto
dall’aviazione israeliana negli ultimi giorni di “Margine Protettivo”,
quando furono prese di mira le “torri” di Gaza. Alla fine della guerra
oltre a distruzioni immense e a una massa enorme di sfollati interni, si
contarono tra i palestinesi oltre 2.200 morti e più di 10.000 feriti. I
morti israeliani furono circa 70, quasi tutti soldati.
Servono le
case qui a Shujayea e in tutta la Striscia per accogliere decine
migliaia di persone che ad un anno e mezzo dall’offensiva israeliana
“Margine Protettivo” vivono in alloggi di fortuna, a casa di parenti, in
tende, in case prefabbricate, in abitazioni affittate con contributi
delle agenzie umanitarie e ancora in qualche edificio scolastico. Sono
88.849: 24.104 uomini, 20.331 donne e 44.414 bambini e ragazzi, secondo
l’ultimo rapporto pubblicato da Ocha, l’ufficio di coordinamento delle
attività umanitarie dell’Onu. A Shujayea, tra le aree più devastate di
Gaza assieme a Rafah e Khuzaa, bombe e cannonate nel 2014 distrussero
completamente 670 edifici, altri 608 furono danneggiati gravemente, 576
danneggiati in parte e 1800 in modo limitato.
Tutto cominciò alle
23 del 19 luglio, quando Israele diede inizio all’offensiva di terra
contro Gaza dopo quasi due settimane di bombardamenti aerei. Sostenendo
che l’ala militare di Hamas aveva sparato 140 razzi da Shujayea, i
comandi israeliani entrarono nel sobborgo dopo aver sganciato volantini
che invitavano la popolazione a fuggire. Molte famiglie però non seppero
nulla di quell’avvertimento, anche a causa della mancanza di energia
elettrica che limitava le comunicazioni. All’inizio la Brigata Golani
non incontrò particolare resistenza da parte dei combattenti
palestinesi. Poi gli uomini scelti di Hamas, quelli delle Brigate
“Ezzedin al Qassam”, evidenziarono ottime capacità di combattimento che
colsero di sorpresa gli israeliani. Si dimostrarono ben addestrati
soprattutto nell’uso dei razzi anticarro. Fino al punto da colpire e far
saltare in aria, proprio nella zona della moschea “Tawfiq”, un veicolo
corazzato uccidendo i 7 soldati a bordo. I resti di uno di questi, Oron
Shaul, assieme a quelli di un altro soldato, Hadar Goldin, ucciso a
Rafah, sono ancora nelle mani del movimento islamico. La reazione delle
forze armate israeliane fu devastante. Secondo fonti del Pentagono,
citate da al Jazeera, quella notte fino al giorno successivo entrarono
in azione 258 pezzi di artiglieria che spararono circa 7.000 colpi ad
alto potenziale sulle case di Shujayea. Una pioggia di fuoco alla quale
partecipò anche l’aviazione. Le vie Nazaz, Shaath e Beltaji si
trasformarono in un inferno. Il servizio di pronto soccorso palestinese
registrò in quelle ore almeno 200 richieste di aiuto. Le ambulanze
tentarono di entrare, quasi sempre senza successo, talvolta a costo
della vita di autisti e paramedici. Sotto i bombardamenti migliaia di
civili si misero in fuga, tra urla e scene di panico e morte. Secondo
fonti di Gaza i morti palestinesi furono 120 di cui un terzo donne e
bambini, quasi 300 i feriti. Le famiglie Ayyad, Helo, Sheikh Khalil e
Jamal furono decimate. Gli israeliani in quelle ore ebbero 13 soldati
uccisi e 56 feriti.
I fratellini Hatem e Ahmad
continuano, assieme ai loro amici, a giocare e a “costruire” la Shujayea
che vorrebbero. E le agenzie umanitarie internazionali proseguono
(lentamente) i progetti di ricostruzione e riabilitazione muovendosi a
fatica tra le restrizioni israeliane all’ingresso dei materiali e al
boicottaggio reciproco che le due leadership palestinesi rivali, Fatah e
Hamas, si fanno dal 2007 incuranti dei danni che provocano alla
popolazione di Gaza. Alcuni Paesi arabi cominciano a dare aiuti
finanziari concreti. Ma è ancora poco per la Striscia devastata
dall’offensiva del 2014, senza infrastrutture, senza acqua, senza lavoro
per i suoi abitanti, sotto blocco israeliano da dieci anni. Ed il mondo
intanto dimentica la questione palestinese.