il manifesto 11.3.16
Iside, la dea cosmopolita
Mostre. Al
museo egizio di Torino, la rassegna «Il Nilo a Pompei» rovescia la
prospettiva e sono le antichità romane che si richiamano al mondo dei
faraoni a diventare del tutto esotiche
di Valentina Porcheddu
TORINO
Nell’alveo del Nilo è impressa l’origine di un popolo splendente, che
sulle acque del grande fiume cullava vita e morte. «L’Egitto fu il dono
del Nilo», scrisse Erodoto nel V secolo a.C. e non stupisce che gli
antichi egizi posero il fiume sotto la protezione di Api, dio dalla
pelle azzurra e fiori di loto svettanti sul capo. Degli influssi che la
terra d’Egitto ebbe nel pensiero e nell’arte del mondo greco-romano, ci
parla Il Nilo a Pompei. Visioni d’Egitto nel mondo romano, rassegna
promossa dalla Fondazione museo delle antichità egizie di Torino con la
soprintendenza Pompei e il Museo archeologico nazionale di Napoli, prima
tappa del progetto Egitto-Pompei che proseguirà tra la primavera e
l’autunno nelle sedi campane. Visitabile fino al 4 settembre nel nuovo
spazio espositivo di seicento metri quadri al terzo piano del rinnovato
museo egizio, la mostra – a cura di Alessia Fassone, Christian Greco e
Federico Poole – illustra la diffusione della cultura egizia nell’area
del Mediterraneo, tema che potrebbe sembrare nient’affatto originale ma
che acquista valore per l’approccio contrastivo adottato dai curatori,
egittologi e non specialisti di archeologia classica.
Un potere globale
Nel
quadro di un museo dedicato alla civiltà dei faraoni, la prospettiva
viene dunque rovesciata e sono le antichità romane di soggetto egizio a
diventare esotiche. L’allestimento, ideato dall’architetto Lorenzo
Greppi, non è particolarmente suggestivo ma ha il pregio di disporre le
opere in un percorso senza fronzoli, che esalta l’estetica dei trecento
oggetti – provenienti da venti musei italiani e stranieri – nella loro
semplice e pregnante bellezza. È il Nilo ad accogliere da subito il
pubblico, che si ritrova a navigarci sopra calpestando un pavimento
«cartografato». Anche la parete sinistra del corridoio d’ingresso alle
sale si trasforma, grazie a una video proiezione, in riva accarezzata
dal vento. Sulla stessa «sponda» si distingue una targa in memoria di
Khaled Al-Asaad, storico direttore del sito archeologico di Palmira e
d’ora in poi custode delle esposizioni temporanee che si avvicenderanno
al museo egizio, per ricordare che alla barbarie dell’Isis si risponde
coltivando il sapere e l’incanto. Dalla greca Alessandria a Pozzuoli
passando per l’isola di Delo, le Visioni d’Egitto si articolano in nove
sezioni, sullo sfondo di un mar Mediterraneo già globalizzato in cui
transitavano uomini, merci e dèi. Il cammino di Osiride collega inoltre
le collezioni permanenti alla mostra, incentrata sul culto di Iside.
Secondo la narrazione del mito nei Moralia di Plutarco, fu lei a
ricomporre le membra del consorte Osiride, fatto a pezzi e gettato nel
Nilo dal fratello Seth per la contesa del trono. Emblema della
trasmissione del potere regale durante la monarchia dei faraoni e
detentrice di prerogative salvifiche, al tempo dei sovrani Tolomei Iside
divenne una dea cosmopolita, il cui potere magico finì per prevalere
sul resto.
Ricostruzioni immersive
Venerata in tutto il
Mediterraneo orientale, entrò nel pantheon di Roma in epoca
repubblicana, attraendo adepti di tutti gli strati sociali e assumendo
quella connotazione misterica che Apuleio eternerà nell’Asino d’oro con
l’iniziazione di Lucio. Numerose statuette esposte a Torino, alle quali
si accompagnano le rappresentazioni di Horus, Api, Arpocrate, Bes e
Serapide, riflettono questa doppia natura, egizia e greco-romana. Ma a
immergere il visitatore nel fascinoso mondo dei culti orientali è
soprattutto la ricostruzione delle ambientazioni di due importanti
santuari, l’Iseo di Benevento e il Tempio di Iside a Pompei. Del primo –
conosciuto solo attraverso fonti epigrafiche – viene presentato
l’arredo scultoreo in stile faraonico, nel quale spicca una statua in
diorite dell’imperatore Domiziano che indossa il nemes (copricapo del
faraone) con il serpente ureo sulla fronte e il gonnellino schendyt. Più
ricco il contesto pompeiano, di cui viene proposta una serie di
splendidi affreschi con scene di culto che hanno per protagonisti –
assieme a sacerdoti officianti – Arpocrate e Anubi, l’unico degli dèi a
testa animale dell’antica religione faraonica a esser recepito fuori
dall’Egitto.
Capolavoro pittorico capace di rapire lo sguardo per
la raffinatezza dei tratti è un affresco che adornava il cosiddetto
ekklesiasterion, l’ampia sala dell’Iseo pompeiano destinata a banchetti e
riunioni. Il dipinto mostra l’arrivo di Io – la fanciulla mutata in
giovenca da Era per aver avuto una relazione amorosa con Zeus – portata
in spalla dalla personificazione del Nilo (o, secondo una recente
interpretazione, del Mediterraneo) a Canopo, nel delta nilotico, accolta
dalla Iside locale. In secondo piano, due sacerdoti agitano sistri,
strumenti musicali sacri alla dea. Il tempio di Iside fu uno dei primi
monumenti di Pompei – era il 1764 – a essere scoperto. Lo spoglio della
decorazione parietale suscitò l’immediata disapprovazione di William
Hamilton, ambasciatore inglese presso la corte napoletana. A provocare
sconcerto presso i contemporanei fu anche il rinvenimento, fuori dal
tempio, dei resti di sacerdoti fuggiaschi che, abbandonando il
santuario, diedero prova della decadenza in cui gettava la pratica dei
culti orientali. Malgrado ciò, nel XIX secolo il tempio di Iside
continuò a sedurre artisti e scrittori, e trovò posto nel celebre
romanzo di Bulwer-Lytton The Last Days of Pompeii (1834).
Lusso orientale
È
ancora il principale sito campano sepolto dall’eruzione del 79 d.C., a
svelare a Torino le storie emerse dai lapilli. Nella seconda parte
dell’esposizione, dal titolo Il Nilo in Giardino, vengono offerti sia i
favolosi affreschi della Casa del Bracciale d’oro, il cui orizzonte
blu-egizio libera uccellini, maschere teatrali e faraoni mignons, sia
una serie di aegyptiaca e statuette di marmo dalla casa di Octavius
Quartio. A quest’ultimo gruppo appartiene una piccola sfinge maschile,
la quale – sulla base di altri elementi d’ispirazione egizia rinvenuti
nella domus – ha fatto credere ad alcuni studiosi che il proprietario
fosse devoto a Iside o affetto da egittomania. In realtà, come scrive
Eva Mol nel bel catalogo edito da Franco Cosimo Panini, «quello che
colpisce soprattutto della cultura materiale di tipo egiziano presente
nella decorazione dei giardini è (…) l’importanza del suo ruolo
all’interno delle complesse dinamiche dell’ostentazione del lusso e
dell’esibizione dello status sociale all’interno della casa romana».
Sempre
nel catalogo, un interessante saggio di Valentino Gasparini sul culto
di Iside nelle dimore di Pompei e Ercolano, dà luce alle raffigurazioni
di Iside kourotrophos o lactans, associate in una curiosa vetrina a una
Madonna allattante il bambino del XV secolo. La rassegna – che si avvale
anche della collaborazione dell’Istituto Ibam di Catania per le
animazioni in 3d – si chiude con un focus sul sito piemontese di
Industria, importante snodo commerciale dell’Italia del Nord noto per le
officine di lavorazione del bronzo. Qui sono stati rinvenuti alcuni
bronzetti che rappresentano dèi del pantheon egizio. Magnifica, di
questo corredo, l’applique con testa di sacerdote cinta da turbante. Il
Nilo fa dunque un lungo periplo, nello spazio e nel tempo, e si direbbe
che non smetta di alimentare quell’immaginario che fu dei poeti e dei
filosofi greci così come dei cittadini del multietnico impero romano.
Potesse nuovamente unire le due sponde mediterranee un fiume benevolo,
assieme a divinità scevre di guerre.
SCHEDA
Nato nel 1824,
il museo egizio di Torino è il più antico museo dedicato alla civiltà
sviluppatasi sulle rive del Nilo e vanta l’onore di custodire la seconda
collezione di antichità egizie del mondo nonché la più importante al di
fuori dell’Egitto. Nel 2015, l’istituzione torinese è riuscita a
scalare le classifiche del Mibact, posizionandosi con quasi
ottocentomila presenze a undici mesi dalla sua riapertura, in settima
posizione fra le aree archeologiche e i musei italiani più visitati.
Un
successo raggiunto grazie a un progetto quinquennale di rinnovamento da
cinquanta milioni di euro, portato avanti dalla Fondazione museo delle
antichità egizie di Torino insieme alla Regione Piemonte, alla Provincia
di Torino, alla città di Torino, alla Compagnia di San Paolo e alla
Fondazione Crt. Un esperimento, il primo nel nostro paese, di gestione
museale col sussidio dei privati, ai quali lo Stato ha concesso in uso
per trent’anni le collezioni. Ma tale traguardo è dovuto anche a un
progetto scientifico di altissima qualità che, sotto la direzione di
Christian Greco, ha posto la ricerca come motore per la valorizzazione
dell’attuale allestimento, favorendo inoltre il ritorno del museo in
Egitto con una missione congiunta italo-olandese nel sito di Saqqara.
L’attività
svolta dal dipartimento scientifico del museo egizio e dal talentuoso
ed efficiente staff del settore comunicazione si riflette in
un’esposizione moderna, suggestiva, rivolta sia a un’utenza colta sia a
coloro che – a partire dai più piccoli – vogliono avvicinarsi a un
passato misterioso e da sempre ammaliante. Nei circa diecimila metri
quadri di spazio distribuiti su cinque piani, sono esposti oltre tremila
oggetti che raccontano non solo la storia di un popolo ma anche quella
del museo e delle donne e degli uomini – come Erminia Caudana, Ernesto
Schiaparelli e Bernardino Drovetti – che hanno reso possibile una
straordinaria avventura.
L’attenzione per la ricostruzione dei
contesti di rinvenimento – che ha il suo apice nella Tomba degli ignoti e
in quella di Kha e Merit – è una delle cifre peculiari di un museo dove
la dignità dei reperti e del lavoro degli archeologi è condizione
imprescindibile. Dignità è anche una delle parole chiave utilizzate da
Christian Greco mentre parla al suo pubblico attraverso l’audio-guida
compresa nel prezzo del biglietto. Una sensibilità rara eppure
necessaria. La stessa che ha permesso la dedica al ricercatore Giulio
Regeni della sala di Deir el-Medina, in cui si conserva il «papiro dello
sciopero». I musei non sono mondi a sé, ma del mondo – anche presente –
sono parte integrante. «Vogliamo essere un luogo vivo», dice la
presidente della Fondazione museo delle antichità egizie Evelina
Christillin. Un sogno che è già realtà.