il manifesto 11.3.16
Fassina: «Io e Marino? E’ già un successo»
Roma.
«Abbiamo allargato il campo, Bray pensa a schierarsi con noi. Se
avessimo votato ai gazebo Pd saremmo morti come a Milano», dice l'ex
viceministro in campo per il Campidoglio. «Vogliamo dare una svolta,
anche rispetto all'ex sindaco»
interv di Daniela Preziosi
ROMA Stefano Fassina, quindi anche a sinistra del Pd farete le primarie per scegliere il candidato sindaco?
Intanto
abbiamo unito tante forze e questo vuol dire che il progetto che ho
avviato mesi fa ha attratto per esempio Ignazio Marino e Massimo Bray,
personalità autorevoli del Pd che confermano una rottura fra quel
partito e una parte del popolo di centrosinistra.
D’accordo, avete allargato il campo. Ma ora vi ritrovate con troppi candidati.
È fisiologico. Se sarà così è perché mettiamo insieme aree e percorsi diversi in modo partecipato.
«Se sarà così» vuol dire che ha qualche dubbio che Marino si candidi davvero?
Sia Marino che Bray stanno riflettendo. Poi diranno loro.
Vi siete dati un tempo per queste riflessioni?
Certo,
non possiamo andare avanti ancora molto. Nei prossimi giorni il quadro
si chiarirà. Ma siamo già d’accordo sul fatto che serve un percorso
partecipato con tutti quelli che in questi mesi hanno lavorato e quelli
che vogliono impegnarsi.
«Percorso partecipato», come lei dice, non significa necessariamente primarie.
Vediamo, per organizzare primarie vere e proprie c’è anche un problema di tempo.
Il Pd avverte Bray e Marino che se decidessero di candidarsi sarebbero fuori dal partito.
Per questa ovvietà non c’è bisogno di un comunicato.
Non teme l’appello al voto utile che il Pd già fa?
È
un riconoscimento del fatto che fuori dal Pd c’è una prospettiva
politica concreta in cui impegnarsi. Quando ho avviato la mia
candidatura, a fine novembre, avevo proprio questo obiettivo. E ora
segnalo che senza questo mio percorso, e senza la partecipazione in
tante aree politiche e sociali della città, oggi la sinistra di Roma
sarebbe finita come quella di Milano. E questo lo dico a prescindere da
chi alla fine sarà il candidato.
Orgoglioso di aver detto no alla partecipazione alle primarie del Pd?
Lo
dico chiaro: se avessi ascoltato quella parte di amministratori di Sel
che spingevano per fare le primarie Pd, ora saremmo morti. Quella parte
confonde la cultura di governo con la subalternità al Pd.
E però alla fine il candidato potrebbe non essere lei.
Il
fatto di avere questo problema è già un indice di successo. Ma sono
determinato a vincere. Dobbiamo allargare le aree sociali e politiche
che abbiamo messo insieme, non dobbiamo sostituirne una con un’altra.
Da sindaco, Marino è stato accusato di essere un amministratore solitario e di non fare squadra. È cambiato?
Le
difficoltà che ha avuto sono dipese anche dai compagni di viaggio che
aveva. Ma certo noi dobbiamo mettere in campo una squadra. Ci sono nodi
programmatici che vanno affrontati. Noi per Roma proponiamo
discontinuità programmatiche: sulle privatizzazioni, sull’uso sociale
degli spazi del comune e sulla delibera 140, sugli appalti che tagliano
fuori le cooperative sociali. Vogliamo ristrutturare il debito, diciamo
sì allo stadio della Roma ma no al progetto di Tor di Valle. Con le
rappresentanze dei lavoratori e della cittadinanza vogliamo il dialogo
sociale.
«Discontinuità programmatiche» anche con la giunta Marino? Marino è d’accordo?
Marino conosce il programma. E certo fra noi serve una base programmatica condivisa.
Il Pd già vi definisce lista dei «rosiconi» che vogliono solo far perdere loro.
Argomento
inefficace. Domenica il 60% di quelli che hanno votato nel 2013 non è
tornato ai gazebo. E non per l’invito di Fassina. Il Pd non vuole vedere
che c’è una parte del centrosinistra che è rimasta a casa. Noi di
Sinistra italiana non stiamo creando una domanda, stiamo cercando di
costruire una risposta.
Molti di voi hanno definito le primarie
del Pd un «flop». Ma 40mila persone e passa alle urne è comunque un
risultato. Non avete paura di un confronto diretto con questi numeri, di
fare le primarie dei «piccoli»?
Il Pd è uno dei principali
partiti italiani. E benché in profonda difficoltà ha il governo
nazionale, un presidente del consiglio che occupa tutti gli spazi
mediatici possibili, che controlla la Rai, che governa la regione e
infine che ha ereditato un tessuto di circoli sul territorio. Il
confronto fra noi e loro sarebbe davvero singolare. Ma non abbiamo
paura. Anche nei tempi stretti che che ci stiamo dando, faremo il
massimo possibile.
Lei, Fassina; poi Marino, forse un nome di
Civati, forse qualcun altro di Sel. Non rischiate di frammentare il voto
con troppi candidati alle primarie?
Che ci siano più candidati
alle primarie è normale. Ma il nostro obiettivo non è costruire un
cartello elettorale, un accrocco. Vogliamo mettere in piedi un soggetto
politico, una comunità strutturata. Per dare un governo di svolta a
Roma. C’è bisogno che questo governo abbia radici sociali, che non si
illuda con il riformismo dall’alto ma che sia ben ancorato alla
comunità. Una scelta che poi si iscrive nel nostro progetto nazionale.
Cuperlo, della minoranza Pd, vi chiede di costruire ponti, di non chiudere il dialogo.
Il
dialogo con loro lo facciamo sempre. Ma nonostante gli sforzi generosi
della minoranza Pd, non sono possibili interlocuzioni vere. Anche i
risultati delle primarie rendono chiaro che il rapporto con quel partito
è impraticabile per chi vuole dare rappresentanza al mondo del lavoro. O
per chi vuole la giustizia ambientale: bisogna prendere atto che il
governo ha scelto la data del 17 aprile per il referendum antitrivelle,
scartando l’election day. L’ha fatto proprio per depotenziare il Sì.