il manifesto 11.3.16
Meglio «caucus» che primarie per il nome radical
Sinistra. Il 3 aprile «faremo come in Michigan». Per i gazebo «i tempi sono troppo stretti»
di Daniela Preziosi
ROMA
Serviranno le primarie, e ci sarebbe già una data, il 3 aprile. Ed
anche già una contestazione: è la data del derby Lazio-Roma, in quei
giorni sacri i romani non amano le distrazioni. Se invece non saranno
primarie («I tempi sono troppo stretti», spiegano) comunque si troverà
«un percorso condiviso» per scegliere il candidato della
sinistra-sinistra, sempreché ce ne sia più di uno. Lo hanno deciso
Stefano Fassina, in corsa per il Campidoglio, Ignazio Marino e Nicola
Fratoianni, leader di Sinistra italiana mercoledì sera in un incontro a
casa dell’ex sindaco di Roma. Che però in effetti non ha ancora
annunciato la sua sfida. Non era il primo vis à vis fra i due aspiranti
sindaci. Poi, di buon mattino, Marino ha battuto un colpo: era il suo
61nesimo compleanno, via twitter ha ringraziato «i tantissimi che mi
stanno facendo gli auguri. Una carica di affetto e fiducia che fa bene e
dà forza». Dopo è volato negli Stati Uniti, come gli è capitato di fare
molto spesso negli ultimi mesi. Tornerà lunedì. In Sel c’è la
convinzione che entro martedì darà una risposta chiara e definitiva. Ma
forse è solo una speranza.
La speranza, per esempio, che Marino
non decida ’a prescindere’ dagli altri, e che lavori in squadra come ha
promesso. Sarà un mese intenso per lui: il 31 marzo uscirà il suo libro
«Un marziano a Roma» in cui – informa l’editore Feltrinelli – «è scritta
la sua verità», un volume «esplosivo, ma niente affatto scandalistico,
ricco di rivelazioni e retroscena sui passaggi anche più minuti, del
sottopotere romano». C’è chi aspetta l’annuncio della corsa alla
presentazione della sedicente «bomba», ma i suoi compagni della sinistra
non possono aspettare tanto. «È verosimile la definizione di un
percorso democratico per raggiungere una candidatura unitaria ed
efficace. Stefano e Ignazio stanno lavorando a questo progetto», ragiona
Fratoianni in Transatlantico, descrivendo il clima «costruttivo»
dell’incontro della sera prima.
La sfida non sarà solo tra loro
due. È vero che l’ex ministro Massimo Bray ha deciso di non impegnarsi
anche in seguito al pressing del Pd. C’è del nervosismo al Nazareno.
«Stupisce che non siano state già smentite, noi le primarie le abbiamo
già fatte e ora chi si candida al di fuori, si candida contro il
centrosinistra per far vincere la destra e Grillo», avverte Matteo
Orfini. «Le scelte individuali fuori dal Pd configurerebbero una
frattura e un abbandono del partito. Insomma, si collocherebbero
autonomamente fuori», rincara Fabio Melilli, segretario dei democratici
del Lazio.
Ma da sinistra il corteggiamento del direttore della
Treccani prosegue: «Bray è una figura autorevole che allargherebbe
ulteriormente la proposta politica. In ogni caso quella delle primarie è
una sfida aperta a tutte e tutti coloro che vorranno dare un contributo
per il governo di Roma», spiega il vicepresidente del Lazio
Massimiliano Smeriglio. E il deputato Alfredo D’Attorre aggiunge: «La
candidatura di Bray darebbe un valore in più perché aggiungerebbe un
altro contributo importante, non solo politico ma della società civile».
Intanto
circolano altri nomi: quello di Luca Bergamo, vicino a Civati e
promotore dell’associazione «Contaci»: che però smentisce. Ci pensa
anche l’ex capogruppo di Sel in Campidoglio Gianluca Peciola, fra i
primi ad aver chiesto a gran voce le primarie. Ma siamo alle prime
battute, non a candidature vere. In attesa della definizione dei
partecipanti alla sfida, si lavora alla proposta. Forse non veri gazebo
alla dem, anche per evitare impietosi paragoni sull’affluenza, ma
«caucus» per la scelta del candidato: un meccanismo all’americana, nato
nel 1972 e basato su grandi assemblee civiche. «Vogliamo consultare la
città proseguendo un lavoro già iniziato da Fassina», spiega D’Attorre.
Nel caso romano sarebbero convocate municipio per municipio per
consultare la base, con tanto di albo di elettori. Un modello mai
testato da noi, con i candidati invitati a confrontarsi sui principali
temi in agenda. Alla fine una consultazione decreta il vincitore:
proprio come mercoledì è successo in Michigan, dove a sorpresa per i
democratici ha vinto il socialista Bernie Sanders. d.p.