il manifesto 10.3.16
Effetto boomerang
di Norma Rangeri
Nascondere
maldestramente la polvere sotto il tappeto non serve per fare pulizia.
Semmai fa aumentare il cattivo odore dell’ambiente. Dire che il caso è
chiuso, sostenere che non è successo niente e bocciare il ricorso di
Antonio Bassolino perché «è arrivato dopo le 24 ore previste», è una
motivazione ridicola, nel maldestro tentativo di mettere una «toppa» al
buco. Che in realtà è una voragine, un vuoto di immagine, di
credibilità, di leadership, di democrazia. E come se non bastasse, nel
ricorso dell’ex sindaco di Napoli (ed ex di varie cose), si parla di
«controllo del voto con metodi criminali» in riferimento a quel che è
successo al seggio di Scampia.
Ma Napoli non è l’unico boomerang
di queste primarie del Pd. Ci sono i voti di Roma, dimezzati perché la
volta precedente «aveva votato Mafia Capitale», perché «c’erano le
truppe cammellate», perché «gli astenuti non sono delusi da Renzi ma da
Ignazio Marino». Sta di fatto che i voti di domenica sono stati
probabilmente anche gonfiati, con schede nulle o bianche utili a far
salire un po’ la percentuale dei partecipanti, nel tentativo (vano) di
mascherare la scarsa affluenza, anzi il mastodontico flop.
Nel
generale imbarazzo del partito, il vincitore delle primarie Giachetti,
prima fa il ventriloquo del «commissario» Orfini e dice che «non cambia
nulla», poi però aggiunge che vorrebbe sapere chi è quel «genio» che ha
costruito questa ennesima figuraccia.
E se Roma e a Napoli
piangono, Milano non ride, perché la candidata Francesca Balzani,
sconfitta alle primarie, adesso si è rende conto che non sarà facile far
pesare il suo 34 per cento nella squadra e nel programma del candidato
Sala. (Però se Gherardo Colombo alla fine decidesse di accettare la
sfida elettorale si può ragionevolmente pensare che non pochi elettori
delle primarie milanesi potrebbero scegliere di votare per l’ex
magistrato di Mani Pulite, oggi presidente della casa editrice Garzanti.
Si
fa largo l’idea, nel mondo politico e tra gli osservatori, di
regolamentare le primarie con una legge che ne stabilisca i criteri, in
nome della trasparenza. Forse si andrà in questa direzione, ma intanto
un macigno si è abbattuto sull’immagine del partito, che appare sempre
più disorientato, smarrito, diviso. Anche perché sarà alquanto difficile
costruire una campagna elettorale «unitaria» di Cuperlo con Orfini,
della Serracchiani con Speranza, una sorta di «tutti insieme
appassionatamente» sotto la bandiera dello stesso partito.
In
realtà il vessillo è pieno di strappi, testimoniati anche dai borbottii
dei Cuperlo e dei Bersani contro la maldestra conduzione dei velenosi e
imbarazzanti postumi delle primarie napoletane.
L’opposizione
interna tenta di alzare la voce chiedendo l’intervento della Commissione
nazionale di garanzia perché si rende conto che nascondendo la polvere
gli elettori di sinistra che volteranno le spalle al Pd potrebbero
diventare un fiume in piena. Ma probabilmente è troppo tardi per mettere
un argine alla deriva. Anche per responsabilità degli stessi Bersani e
Cuperlo che si sono condannati da soli ad una inconcludente
testimonianza, assistendo quasi silenti all’emorragia – più di immagine
che numerica – con le fuoriuscite di Cofferati, Fassina, Civati, del
gruppo di Sinistra Italiana (e chissà che farà Bassolino).
Questa
situazione che, eufemisticamente, possiamo definire di disagio, deve
essere motivo di stimolo a sinistra con una netta e chiara assunzione di
responsabilità per non perdere il rapporto con gli elettori. Mai come
ora la formazione di liste a sinistra del Pd, da Torino a Roma, Milano e
Bologna potrebbe – anzi dovrebbe – essere l’occasione per dimostrare
serietà, responsabilità, unità. E, soprattutto, per trovare leader
capaci di parlare a tutti quelli che vogliono un vero cambiamento di
passo e a quelli disorientati e delusi dal partito di Renzi. Ma non sarà
facile, perché nessuno ha la bacchetta magica o è capace di far uscire
un coniglio dal cilindro. E il tempo stringe.