il manifesto 1.3.16
Pedofilia, l’Oscar non smuove il papa
Dopo premio e l’appello degli autori di Spotlight, l’accusato monsignor Pell ricevuto in udienza da Bergoglio
Il
cardinale chiamato dalla Royal commision di Sydney a difendersi per
casi insabbiati, è stato nominato dal pontefice Segretario all’Economia
di Luca Kocci
Il
premio Oscar come miglior film a Il Caso Spotlight, che racconta gli
abusi sessuali sui minori commessi da decine di preti dell’arcidiocesi
di Boston negli anni ‘80 e ‘90, solleva nuovamente il coperchio del
pentolone in cui, nonostante i tentativi di gettare acqua sul fuoco,
continua a bollire lo scandalo della pedofilia ecclesiastica. «Questo
film dà voce ai sopravvissuti, e questo Oscar amplifica questa voce che
noi tutti speriamo possa arrivare fino al Vaticano», ha dichiarato
Michael Sugar, produttore del film, con ancora in mano la statuetta
appena ricevuta sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles. E poi,
rivolgendosi direttamente al pontefice: «Papa Francesco, è arrivato il
momento di proteggere i bambini e restaurare la fede!».
Il film,
scritto da Tom Mc Carthy e Josh Singer e premiato anche per la migliore
sceneggiatura originale, racconta «la madre» di tutte le vicende di
pedofilia ecclesiastica: la storia dello Spotlight, il team di
giornalisti investigativi del Boston Globe che nel 2002, a partire dalla
notizia di cronaca di un parroco locale accusato di aver abusato
sessualmente di molti giovani nel corso di un trentennio, con
un’inchiesta premiata con il Pulitzer, rivelò la miriade di abusi
sessuali commessi su centinaia di minori da parte di circa 80 preti
dell’arcidiocesi di Boston, allora guidata dal cardinale Bernard Law –
attualmente arciprete emerito della basilica di Santa Maria Maggiore a
Roma – e l’insabbiamento dello scandalo da parte delle istituzioni
ecclesiastiche.
Un film che ha ricevuto il plauso di monsignor
Charles Scicluna, attuale arcivescovo di Malta e per anni promotore di
giustizia della Congregazione per la dottrina della fede, in prima linea
nel contrasto agli abusi sessuali del clero, il quale ha consigliato a
preti e vescovi di andare a vederlo. E del gesuita padre Hans Zollner,
membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori e
presidente del Centro per la protezione dei minori dell’Università
pontificia Gregoriana: «C’è un grande apprezzamento per il film e
ovviamente anche un apprezzamento per il messaggio e il modo in cui
viene trasmesso», ha dichiarato a Radio Vaticana.
«È un forte
invito a riflettere e a prendere sul serio il messaggio centrale, cioè
che la Chiesa cattolica può e deve essere trasparente, giusta e
impegnata nella lotta contro gli abusi e che deve impegnarsi affinché
non si verifichino più. Dobbiamo cambiare quel nostro atteggiamento che
in italiano si può esprimere con quella famosa parola “omertà”. Non
parlare, voler risolvere tutto spazzando via tutto sotto il tappeto,
nascondersi e pensare che tutto passerà. Bisogna capire che non passerà:
ormai dobbiamo renderci conto che o ci pensiamo noi con molto coraggio e
la capacità di affrontare le cose guardandole in faccia, oppure un
giorno, prima o poi, saremo obbligati a farlo. E questo penso sia uno
dei messaggi centrali di questo film».
Se la vicenda narrata da
Spotlight oggi è chiusa, tanto che l’attuale arcivescovo della capitale
del Massachusetts, il cardinale cappuccino Sean Patrick O’Malley inviato
a Boston per “ripulire” la diocesi dopo le dimissioni di Law, è il
presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori, resta
ancora aperta la questione pedofilia nella Chiesa cattolica.
Prova
ne è il fatto che, per singolare coincidenza, l’assegnazione dell’Oscar
al Caso Spotlight è arrivata nella stessa notte in cui il cardinale
australiano conservatore George Pell, potente prefetto della Segreteria
per l’economia, nominato da papa Francesco (una sorta di superministro
vaticano dell’economia), ha testimoniato in videoconferenza, dall’hotel
Quirinale di Roma – era stata chiesto che si recasse a Sidney per
deporre, ma il cardinale ha presentato un certificato medico che gli
evitato il viaggio – di fronte alla Commissione governativa australiana
che da quasi tre anni indaga sugli abusi sui minori commessi anche da
preti e religiosi.
Come in altri Paesi, anche in Australia quasi
sempre i preti pedofili non sono stati denunciati dai loro vescovi, ma
poi solo trasferiti in altre parrocchie, dove hanno proseguito a
compiere abusi.
Pell non è accusato di aver commesso abusi, ma di
aver insabbiato alcuni scandali e coperto alcuni preti pedofili nelle
diocesi in cui ha lavorato come parroco e come vescovo (accuse sempre
respinte dal cardinale). La Chiesa cattolica «ha commesso enormi errori,
ha causato gravi danni in molti luoghi, ha deluso i fedeli, ma sta
lavorando per rimediare», ha dichiarato Pell alla Royal commission.
«Non
sono qui a difendere l’indifendibile», ha aggiunto, in quel periodo la
Chiesa era «fortemente propensa» ad accettare smentite degli abusi da
parte di chi ne era accusato. L’istinto allora era più di «proteggere
dalla vergogna l’istituzione, la comunità della Chiesa».
Dopo la
deposizione — a cui hanno assistito anche una quindicina di vittime
arrivate direttamente dall’Australia –, ieri mattina Pell è stato
ricevuto in udienza (già programmata) da papa Francesco. E nella notte
appena trascorsa c’è stata una seconda udienza, a cui ne seguiranno
altre due o tre, nelle quali inevitabilmente si entrerà nel merito dei
singoli casi addebitati al cardinale.