Corriere La Lettura 6.3.16
Emigreremo nell’universo. Abiteremo altri mondi
Christophe
Galfard è un fisico francese di 40 anni, autore di un saggio
divulgativo in uscita, che ha collaborato con Stephen Hawking allo
studio dei buchi neri
In questa conversazione con Giulio Giorello riflette sulle ambizioni della scienza. Che sono le speranze dell’umanità
«Abbiamo
la possibilità di offrire alla nostra specie un arco di tempo
lunghissimo, imparando a viaggiare a grandi distanze nello spazio. Fino a
pochi decenni fa nessuno sapeva come arrivare sulla Luna. Oggi nessuno
sa quel che saremo in grado di fare nei prossimi secoli»
di Giulio Giorello
A
pro a caso il libro di Christophe Galfard. Scopro che ancora stiamo
soffrendo — tu scrivi — di una grave malattia detta «Depressione
Filosofica Copernicana». Non siamo più in un cosmo finito e tranquillo
con la Terra ferma pressoché al centro. Come tu sostieni, perché mai un
matematico polacco del Quattrocento, un tale Copernico, «ha dovuto
rovinare tutto questo e proclamare che il Sole non girava intorno alla
Terra?». Eppure, non credi che quella «Depressione» sia stata una
vittoria della ragione scientifica?
«Certo! E questa vittoria
della ragione scientifica, con la gioia che ne deriva, è esattamente
quel che voglio condividere e trasmettere nel mio libro. La “Depressione
Filosofica Copernicana” di cui parlo ha lo scopo di definire e
riconoscere quel che prova chi si sente sopraffatto dalla vastità del
nostro universo, e dalla parte insignificante che noi abbiamo in esso.
Poi però capovolgo questo sentimento e lo trasformo in uno stato di
esaltazione: quel che nei secoli passati abbiamo capito del nostro
universo è straordinario ed emozionante, fonte incredibile di sogni e
gioia. E noi, esseri umani, l’abbiamo capito da soli. Quindi, anche se è
grande (e lo è), può essere contenuto nella nostra mente! Di questo
dovremmo tutti essere molto orgogliosi, anche se non siamo scienziati».
Oggi
sappiamo che il nostro globo non è fermo al centro dell’universo e che
il Sole è una stella abbastanza periferica della galassia. Quest’ultima è
solo una delle tante che si vanno allontanando l’una dall’altra con
l’espansione dell’universo. Tu descrivi lo scenario cosmico come «bello e
violento». Perché?
«Le dimensioni e le energie presenti nello
spazio cosmico vanno al di là di qualsiasi cosa a cui siamo abituati e
che possiamo provare sulla Terra. Per fare un esempio, l’energia
sprigionata dai due buchi neri che sono stati “visti” lo scorso anno dal
rivelatore LIGO mentre si fondevano è pari a 50 volte l’energia di
tutte le stelle dell’universo visibile messe assieme. Un livello di
violenza di cui mai si era avuta notizia prima d’ora. Se mi chiedi se vi
sia bellezza nella violenza, ebbene, credo di sì. Ma non parlo della
violenza umana, che detesto. Parlo della natura. Le leggi della natura,
quelle di cui finora siamo riusciti a venire a capo, ci dicono che
quando si raggiungono nuovi stadi di energia appaiono nuove realtà. La
violenza che rileviamo nel cosmo ci apre gli occhi su realtà che non
sono accessibili qui sul nostro pianeta, realtà che ci permettono di
leggere la storia del nostro universo, di comprendere il passato, il
presente, e infine anche le leggi stesse dell’universo. È una cosa
meravigliosa».
Il Sole aumenterà diventando cento volte più grande
ma prima che scoppi ciò di cui era fatto avrà annientato i suoi
pianeti, tra cui appunto la Terra. Certo, la tragedia non è per domani
ma tra circa cinque miliardi di anni! Eppure, c’è gente che già oggi
resta impressionata da questa morte del Sole.
«Il Sole è l’unica
fonte di energia che abbiamo. La sua estinzione provocherà la morte del
nostro pianeta. Non è cosa da poco. Anche se sappiamo che tutti, come
individui, un giorno moriremo, l’idea che questo debba succedere anche
al Sole e alla Terra ci sembra anche peggiore. Significa che vi è un
limite alla nostra esistenza non solo come individui, ma come specie.
Non conosco nessuno che non si turbi a questo pensiero, dato che non
coinvolge solo noi, ma anche i nostri figli (in un futuro molto, molto
lontano). Ciò detto, e qui arriva la buona notizia, non credo che
l’estinzione sia il nostro destino. Penso che in realtà dipenda solo da
noi. Abbiamo la possibilità di capire le leggi della natura a un punto
che consenta di evitare questa prospettiva. Abbiamo la possibilità,
grazie alla scienza, di offrire all’esistenza della nostra specie un
arco di tempo molto più lungo. Non impedendo la morte del Sole, ma
imparando a viaggiare a grandi distanze nello spazio. È un buon
incentivo per fare scienza, no? Ricorda comunque che parlo di eventi che
si verificheranno tra miliardi di anni! Il tempo è dalla nostra
parte!».
Magari emigreremo su qualche pianeta extrasolare: oltre
alla scienza pura non ci sarà però necessaria anche una robusta
tecnologia, oggi nemmeno immaginabile?
«Certamente. Non abbiamo
ancora la tecnologia, e non sappiamo neanche di che tipo sarà. Chiedi a
un uomo o a una donna del Medioevo come andare sulla Luna. Oggi lo
possiamo fare. Nessuno sa quel che saremo in grado di fare nei secoli a
venire».
Sembra non esserci struttura celeste che, al contrario di
quanto credeva Aristotele, non debba prima o poi morire. E allora cosa
ci resta di eterno? Forse il processo di inflazione detta appunto
«eterna». Non potremmo essere tentati di dire, magari con un po’ di
ironia, che se un Dio c’è, esso coincide... con tale inflazione?
«No,
non dovremmo. La scienza non si occupa di provare o confutare
l’esistenza di Dio. La scienza si occupa di fare domande e dubitare
costantemente delle risposte date. Vuole cercare di capire come funziona
l’universo, indipendentemente dalle nostre opinioni personali. Non
intende dare risposte senza preoccuparsi della loro corrispondenza con
il “mondo reale”. In questo senso Aristotele non era uno scienziato come
lo definiamo oggi. Infatti la maggior parte delle sue idee
sull’universo — ora lo sappiamo — erano sbagliate. Questo non significa
che non fosse intelligente (anche se a volte il suo modo di ragionare
era stravagante). Semplicemente non sapeva quel che conosciamo oggi e
non aveva gli strumenti di ragionamento straordinariamente efficaci che
abbiamo ereditato dai nostri antenati — e che abbiamo migliorato.
Cercare di trovare Dio da qualche parte in quel che la scienza produce
mi sembra un’illusione. La scienza è molto più modesta. Prendiamo
l’inflazione cosmica, eterna o no. È una teoria. Solo una teoria. Non è
ancora stata confermata sperimentalmente e nessuno potrà dire che è
reale finché non lo sarà. Eppure, è una teoria affascinante che potrebbe
fare luce su molti misteri».
Tu evochi anche «l’eretico ostinato»
Giordano Bruno, finito al rogo nel 1600 per aver sostenuto (anche) che
«esistono innumerevoli Soli e innumerevoli Terre che ruotano attorno a
questi». Nel 1755 Immanuel Kant definiva il sistema delle «stelle fisse»
come «un mondo di mondi». Si riferiva alla nostra galassia (la vecchia
Via Lattea) ma poche righe prima dichiarava pure che le varie nebulose
non erano singoli astri immensi, ma «piuttosto sistemi di molte stelle».
Il filosofo era anche convinto che i pianeti di un qualche sistema
solare potessero ospitare vita intelligente. Tu torni su questo
argomento nel tuo volume. Non sei dunque troppo impressionato dal
«Paradosso di Fermi» (se sono così intelligenti e tecnologicamente
avanzati perché non sono già qui?).
«Ci sono molti modi di
rispondere a questa domanda: potrebbe non esserci vita intelligente
altrove (e, come ho scritto nel libro, Stephen Hawking ha anche detto
che forse dobbiamo ancora trovarla sulla Terra...), viaggiare nello
spazio a distanze tanto grandi potrebbe essere impossibile, potremmo
essere i primi, ecc. Non lo so. La mia convinzione — ed è solo una
convinzione — è che lo spazio brulichi di vita. Non necessariamente vita
intelligente. Credo che la vita intelligente esista, ma che sia troppo
lontana perché ci sia stato possibile trovarla finora».
Ci
troviamo, scrivi, «un quadro dell’universo ricolmo per lo più di
profonde incognite», ma non ricadiamo in depressione! «Questi territori
ignoti sono le finestre che si affacciano sulla scienza di domani».
Possiamo già indicare qualche esempio?
«I misteri per me sono
l’esatto contrario di quel che può provocare un esaurimento nervoso.
Sono una sfida, una fonte di gioia, sono cose a cui pensare con la
speranza di scoprire un tesoro sconosciuto. Questo è quel che è successo
sistematicamente in passato. Deprimente sarebbe sapere tutto. Ma per
fortuna non accadrà in tempi brevi. Come ho detto nel libro, ci sono
molti campi in cui sappiamo di non sapere quel che succede. Alcuni di
questi — ma ce ne sono altri — sono il regno della gravità quantistica,
che si manifesta nei buchi neri e all’origine del nostro universo, o la
natura della materia oscura e dell’energia oscura che, assieme,
costituiscono il 96% circa dell’energia presente nel nostro universo...
Questo, per inciso, significa che se qualche giovane stesse pensando se
vale la pena di intraprendere una carriera scientifica, deve sapere che
ci sono ancora molte grandi scoperte da fare! Ci sono molti tesori da
scoprire».
Abbiamo spinto l’audacia di Bruno al punto di concepire
che l’intero nostro universo non sia unico. Eppure, tutto è cominciato
dalla nostra Luna. Mi viene in mente una battuta (1896) del fisico e
fisiologo Ernst Mach. I saggi antichi ammonivano a guardare dentro se
stessi. Ma né la scienza né la stessa filosofia hanno seguito questa
strada. Mach diceva ancora: «Abbiamo carte che ci rappresentano
esattamente i monti e le regioni lunari. Ma i fisiologi appena adesso
cominciano a sapersi raccapezzare nelle regioni del nostro cervello».
Questo cent’anni fa. E oggi?
«Lo studio scientifico del
funzionamento interno del nostro cervello è una scienza piuttosto
giovane, con un potenziale e un futuro straordinari. Ma per quanto ne
so, credo sia giusto dire che, se pure sono stati fatti progressi, non
abbiamo ancora capito molto di quel che succede là dentro. Sembra che ne
sappiamo meno di quanto sappiamo del cosmo... Ora, se posso, userò
questa opportunità per esortare alla prudenza: collegare quel che
abbiamo appreso del cosmo o della fisica quantistica a quel che si prova
o si pensa non è scienza. Recentemente sono usciti molti libri sul
benessere quantistico, la guarigione quantistica, la medicina
quantistica. Alcuni li leggono con piacere, ma sono quasi tutte
sciocchezze e non hanno nulla a che fare con la scienza su cui
pretendono di basarsi».
Torniamo allora ai «misteri insospettati»
entro la nuova fisica. Abitualmente molti si riempiono la bocca del
termine mistero per indicare quello che ritengono per sempre
inconoscibile. Ma i misteri non è meglio risolverli? A cent’anni dalla
formulazione della relatività generale di Einstein la fisica non sta
costituendo il modello di un nuovo Illuminismo, ove dubbi e controversie
ci fanno constatare come sia doveroso «osare con la nostra ragione?».
«Nel
corso dei secoli, l’umanità ha basato la comprensione della nostra
realtà (qualunque cosa significhi questa parola) su quel che si sapeva
in quel tempo. E la conoscenza, sostanzialmente, è sempre stata basata
su due modi di pensare, o su uno di essi: il primo è sperimentale, il
secondo teorico. Per alcuni dei greci antichi, come per esempio Platone,
il secondo, quello teorico, era più importante del primo. Oggi, è il
contrario: solo quel che è stato verificato attraverso esperimenti
ripetuti e indipendenti è considerato corretto. O almeno non sbagliato. I
“misteri insospettati”, come li chiamo nel libro, sono i misteri che
emergono quando gli esperimenti non concordano con un quadro teorico
precedentemente accettato ed efficiente. Misteri di questo genere sono
sorti in passato (tipo: perché Mercurio non gira intorno al Sole secondo
la formula di Newton?) e alcuni sono stati risolti (la particolare
orbita di Mercurio ha portato alla scoperta della gravitazione di
Einstein). La materia oscura e le energie oscure sono misteri di oggi:
se non avessimo capito la gravitazione, non li avremmo individuati.
Mettono in luce il fatto che non abbiamo una teoria che spieghi tutto.
Alcuni dei misteri di oggi lo saranno per sempre? Non credo. La nostra
conoscenza migliorerà e, come hai giustamente detto, nel corso di questa
sfida dovremo pensare l’impensato. Un nuovo Illuminismo? Può darsi. Ma
senza le opere dei giganti del passato, sulle cui spalle poggia la
conoscenza moderna, anche i misteri svaniscono. Abbiamo bisogno di loro
per andare avanti. A ogni modo, ho una fede così profonda in quel che
l’umanità può fare, che non credo possano esserci misteri eternamente
inconoscibili. Piuttosto, credo che questi ne produrranno di nuovi, che a
loro volta ne susciteranno altri. Non abbiamo nessuna idea di quali
potrebbero essere i misteri di domani. E per me questo è un pensiero
affascinante».