Corriere La Lettura 27. 3.16
Il contadino e il martirio
La sfida dei Crocifissi tra Donatello e Brunelleschi
Ha
i capelli impastati di sangue, che cola sotto le ciocche fin sulla
fronte e ai lati del viso. Gli zigomi tumefatti. Le palpebre lunghissime
ormai ridotte a feritoie. Le labbra semiaperte nell’esalazione
dell’ultimo respiro. Il corpo sfigurato nello spasimo della morte. È il
Crocifisso di Donatello (qui sotto a sinistra), conservato nel transetto
settentrionale della basilica fiorentina di Santa Croce, in un’area
esclusa dai percorsi di visita. Si può ora vedere nella mostra Fece di
scoltura di legname e colorì , alla Galleria degli Uffizi di Firenze
curata da Alfredo Bellandi (fino al 28 agosto). Crocifisso famoso, non
solo perché segna una nuova concezione del divino, sostanzialmente
incarnato nell’uomo, ma anche il passaggio dall’arte gotica, che
stilizzava il Cristo sulla croce, a una nuova rappresentazione in cui il
figlio di Dio appare come un uomo di carne e nervi, che muore trafitto
dal dolore come ogni uomo torturato.
La notorietà dell’opera,
bellissima ma non certo tra le più tipiche di Donatello, si deve a una
storia riferita dal Vasari nella biografia di Brunelleschi e subito dopo
in quella di Donatello. Lo scultore intagliò il Crocifisso intorno al
1408, quando aveva poco più di vent’anni. Concluso il lavoro,
«parendogli di avere fatto una opera lodatissima, chiamò per il primo
Filippo di Ser Brunellesco, che era domestico amico suo, che lo venisse a
vedere». Ma Brunelleschi, più anziano di una decina di anni, raffreddò
l’entusiasmo: «Gli pareva ch’egli avesse messo in croce un contadino e
non il corpo di Cristo, il quale fu delicatissimo di membra e d’aspetto
gentile ornato». Donatello si offese e sfidò l’altro: «Piglia del legno e
prova a farne uno tu».
La risposta è custodita nella basilica di
Santa Maria Novella: un crocifisso scolpito e dipinto in un tronco di
pero che venne immediatamente recepito dagli altri artisti del
Rinascimento come opera esemplare: naturale e al tempo stesso nobile,
perfetto nelle proporzioni che rimandano all’ideale «homo quadratus» di
Vitruvio ma anche illuminato dall’idea neoplatonica della divinità,
caratterizzata dalla bellezza e dal fulgore. Per esaltare l’armonia
quasi musicale di questo corpo lo fece completamente nudo, iniziando una
tradizione che arriverà fino a Michelangelo, nel Crocifisso della
chiesa di Santo Spirito. Riferisce il Vasari che, dopo aver terminato in
gran segreto la scultura «fatta a gara», Brunelleschi invitò Donatello a
pranzo. Passando dal mercato fecero la spesa: formaggio, uova e frutta.
E con queste cose inviò l’amico a casa dandogli le chiavi e dicendo che
lui si fermava per il pane dal fornaio.
Donatello entrò e si
trovò davanti il Crocifisso, «di perfezzione e sì maravigliosamente
finito, che di stupore e di terror ripieno, ne rimase vinto talmente,
che la tenerezza dell’arte e la bontà di quella opera gli aperse le
mani, con le quali strette teneva il grembiule pieno di quelli frutti et
uova e formaggio, sì che il tutto si versò in terra e si fracassò».
Vedendo la frittata sul pavimento, Brunelleschi rimproverò l’amico di
aver rovinato il desinare. Donatello rispose che per quel giorno aveva
avuto la sua parte, pensasse lui a raccogliere il resto «imperoché
conosco e veramente confesso ch’a te è conceduto fare i Cristi et a me i
contadini».
I due rimasero amici e al tempo stesso in
competizione. Nel 1418 Donatello aiutò Brunelleschi a realizzare il
modello della cupola del Duomo, in mattoni e calcina, senza armature,
per dimostrare che poteva crescere sostenendosi da sola, secondo il modo
di murare degli antichi, che avevano studiato durante il loro viaggio a
Roma, nel 1402. Aveva pagato Filippo tutte le spese, vendendo un
poderetto nelle campagne di Settignano. Era figlio di un ricchissimo
notaio, ser Brunellesco Lippi, a cui il Comune di Firenze, sul finire
del Trecento, aveva affidato la difesa della città. Donatello invece era
figlio di un cardatore di lana, che per avere una bocca in meno da
sfamare l’aveva messo a bottega dai Ghiberti.
Fu qui che nacque
l’amicizia con Brunelleschi. A Roma, dissotterrando e misurando i ruderi
affioranti dal terreno, l’architetto cercava di capire il segreto della
divina proporzione. E incitava Donatello a guardare bene le sculture, a
disegnarle. A Firenze realizzarono altre statue in legno dipinto, come
quelle raffiguranti la Maddalena orante , che insieme ai due Crocifissi
fecero da modello alla scultura lignea del Quattrocento, alla quale è
dedicata la mostra fiorentina. Nelle opere, una cinquantina, si
assommano la riscoperta della plasticità classica, la policromia,
l’assemblaggio di materiali diversi. Come nel Crocifisso del Pollaiolo,
con il corpo in sughero, il perizoma di tela gessata, i capelli di
stoppa impastati di stucco.