Corriere La Lettura 27. 3.16
Addio vecchia cronologia: il tempo è senza verso
di Pietro Mento
In
pochi anni di vita i social network hanno sconvolto la nostra idea di
tempo. Se i siti e i blog hanno da sempre obbedito all’ordine
cronologico degli eventi, presentando i post dal più recente in poi,
Facebook e simili hanno da tempo manomesso la linea temporale in uso da
millenni per una sua versione da XXI secolo. Oggi sono gli algoritmi a
decidere l’ordine delle cose che vediamo nel feed , nel flusso dei
social network; sono loro a decidere che cosa vediamo, quali utenti
appaiono spesso davanti ai nostri occhi e quali cadono nel
dimenticatoio.
Qualche giorno fa Instagram, social network
fotografico comprato da Facebook nell’aprile 2012, ha annunciato un
cambiamento di base, introducendo un feed algoritmico che cambierà la
sequenza di foto visibili agli utenti a seconda di vari parametri. È un
evento importante per varie ragioni, l’ultimo passo dell’industria
social verso una nuova concezione di tempo: se Facebook ha inaugurato il
suo news feed nel 2006, cominciando gradualmente a «decidere» i
contenuti visibili agli iscritti, il 2016 è stato l’anno di Twitter
(febbraio) e, appunto, Instagram (marzo). La svolta di Twitter è
peculiare anche perché è seguita a un lungo periodo di prova iniziato
nel 2013 che ha interessato una piccola élite di utenti a cui è stato
sottoposto il nuovo ordine algoritmico. Un esperimento che serviva a
sondare il territorio, essendo Twitter un luogo in cui l’ordine
cronologico ha sempre fatto la differenza, creando un sito composto da
soli tweet, in puro, semplice ordine lineare. Un’epoca che oggi possiamo
considerare finita.
Se a guidare la svolta nel mondo social è
stata Facebook, Google ha iniziato ben prima nel world wide web,
affinando un algoritmo sempre più sofisticato per il suo motore di
ricerca e spianando la strada a quanto fatto dalla creatura di Mark
Zuckerberg al suo feed . Lo strapotere di Facebook sta nei suoi 1,3
miliardi di utenti e nella cura con cui sceglie i contenuti che questi
vedranno. Nel 2012 700 mila utenti del sito sono stati scelti come
«cavie» di un esperimento segreto durato una settimana e mirato a
indagare le reazioni emotive degli utenti ad alcune notizie e status,
cosa che è stata rivelata pubblicamente solo due anni dopo creando
enormi polemiche — e spingendo alcuni a dipingere uno scenario distopico
in cui Facebook riuscirà a decidere l’esito delle elezioni.
Ma a
cosa servono questi algoritmi? E perché anche Twitter e Instagram hanno
deciso di usarli? La loro caratteristica principale è di poter
raccogliere, analizzare e organizzare — ottimizzare, nella migliore
delle ipotesi — la mole di contenuti disponibile, creando un feed
«personalizzato» per ciascun utente, pure selezionando post «vecchi» di
qualche ora per motivi di interesse e d’apprezzamento del pubblico. Un
membro della vostra cerchia che non vedete da tempo su Facebook potrebbe
insomma fare capolino nel caso un suo post avesse enorme successo
inaspettato.
Soprattutto gli algoritmi, piegando lo scettro del
tempo, permettono ai social network di inserire pubblicità con più
facilità: un feed cronologicamente sconvolto esige la presenza di un
algoritmo in grado di personalizzare davvero l’esperienza del sito. E
cosa c’è di più personalizzabile della pubblicità su internet? Questo è
il punto: Instagram e Twitter hanno bisogno di monetizzare. Ergo, hanno
bisogno di pubblicità e di una piattaforma sofisticata in grado di
somministrarle ai loro utenti. Anche per questo la nuova cronologia del
web ha lati oscuri.
In molte occasioni, per esempio, gli utenti
hanno notato come alcuni eventi trending topic su Twitter, spesso seri e
drammatici, non apparivano tra quelli di Facebook, che sembra
intenzionato ad allontanare le notizie scabrose dal feed dei loro
utenti. Cosa resta da fare alle testate giornalistiche per risaltare in
un ambiente così chiuso e omogeneo? Pagare, ovvio. Il cerchio si chiude,
si apre l’epoca del dominio algoritmico.