Corriere La Lettura 13.3.16
«La Cina ha creato ricchezza ora serve spiritualità»
Liu Yiqian è il miliardario che ha strapagato un Modigliani «Ero povero, ma avevamo voglia di cambiare il destino
Ho colto le opportunità. Anche il Paese ha colto le opportunità»
intervista di Guido Santevecchi
Signor Liu, scusi la banalità della domanda, ma perché ha deciso di spendere 170 milioni di dollari in un quadro?
Il
signor Liu Yiqian è seduto su un divano del suo ufficio sotterraneo ma
con vista sul prato nel Long Museum di Shanghai, giacca grigio antracite
di sartoria, maglia nera girocollo, pantaloni di camoscio, scarpe
italiane comode e di qualità. Ci guarda con un mezzo sorriso.
«Non
è che abbia comprato un quadro appeso in una galleria, con un prezzo
sul cartellino, il costo del Modì è stato stabilito alla fine della
gara, c’erano altri concorrenti, è andata avanti con diversi rialzi e io
non avevo fatto un preventivo. In queste cose bisogna scegliere in
pochi minuti, è questione di secondi. Sono stato fortunato perché gli
altri a 170 milioni hanno ceduto».
Ha sentito un brivido a 170 milioni?
«Non
ero particolarmente emozionato durante l’asta, si riesce oppure no; e
se si perde, i soldi restano in tasca (ride forte) . Vedendo il quadro
la prima volta, mi ero emozionato. Lo avevano portato a Hong Kong ma non
avevo pensato subito di prenderlo, mi interessava Modì, ero curioso,
commosso dalla sua storia d’amore. Intendiamoci, sono diventato un mezzo
esperto solo dopo averlo acquistato, perché mi sono arrivate addosso un
sacco di informazioni» (ride ancora, di sé) .
Lei dice sempre Modì, il soprannome di Modigliani, quindi un po’ ha studiato...
«No, mi piace semplificare e Modì sono due caratteri in cinese, mentre Modigliani sono cinque».
Interrompe
la conversazione per ricordare che ha molto da fare e riceve pochi
giornalisti. Parla in fretta e con espressioni semplici.
In
Occidente molti si stupiscono che un collezionista cinese spenda tanti
milioni in opere d’arte europee. Trova che ci sia un pregiudizio nei
confronti dei nuovi collezionisti cinesi?
«Se fosse stato un
giapponese o un sudcoreano la curiosità non sarebbe stata così forte.
Noi cinesi nel mercato dell’arte siamo diventati il nuovo fenomeno,
dietro questo c’è la crescita della Cina che è diventata la seconda
economia del mondo. E dopo aver creato ricchezza abbiamo sentito un
bisogno di cultura e... sì, di spiritualità. Ora in Cina ci sono tanti
come me, innamorati di una causa culturale o magari sociale. Costruiamo
anche musei privati, come vedi, poi c’è chi ospita solo mostre di arte
cinese tradizionale o contemporanea e qualcuno come me invece si allarga
a collezioni asiatiche, sempre che se lo possa permettere. Io ho preso
opere in Giappone, Corea del Sud, Malaysia, Indonesia e India; ne ho già
un certo numero. Avevo già acquistato altre opere occidentali, poi con
Modì è arrivata la curiosità o il pregiudizio, non saprei definirlo, ma
ho trovato anche una certa arroganza. Quando saremo più sviluppati il
pregiudizio diminuirà».
Ha già ricevuto la tela di Modigliani? Dov’è?
«Non è ancora arrivata, è a New York».
Non le manca il «Nu couché» con tutto quello che lo ha pagato?
«L’ho già visto, per quanto mi possa mancare mica ci posso andare a letto la sera».
È andato a rivederlo dopo l’acquisto?
«Sì,
ma è complicato perché è tutto imballato e quando ci vai debbono
portarlo nella sede della casa d’aste e aprirlo e quando te ne vai
debbono richiudere bene, un lavoraccio».
È passata mezz’ora e Liu
Yiqian ha appena finito la quinta sigaretta, però è cortese, tiene
socchiusa una finestra. Alla fine, nel portacenere ce ne saranno nove.
«Ho cominciato da ragazzo» , dice senza alcuna remora salutista.
Che marca sono?
«Zhong Hua, di Shanghai. Non sono le migliori, vengono 65 yuan a pacchetto» (9 euro) .
Mai provato i sigari toscani?
«Io non fumo i sigari. Sono abituato a queste...».
Modigliani
li fumava, ce n’è anche uno con il suo nome e il suo volto sul
pacchetto, dovrebbe provarli, per entrare nell’atmosfera...
Accende un’altra Zhong Hua.
Quando arriverà il «Nu couché»?
«Mia
moglie ha pensato di organizzare una mostra di arte occidentale nel
quinto anniversario della fondazione del museo, quindi nel 2017».
E
sarà un avvenimento internazionale, perché il Nu couché, con la sua
sensualità dirompente portata in primo piano, non era mai stato esposto
in un museo prima, era rimasto per decenni in una collezione privata.
Quindi, almeno un merito al signor Liu va riconosciuto.
Sua moglie
Wang Wei è un’esperta di arte orientale, sappiamo che ama le opere
cinesi rivoluzionarie. Ha avuto qualche dubbio nel suo acquisto di
Modigliani?
«Era più tranquilla di me. E poi non c’era quando ho partecipato all’asta, forse è stata un po’ sorpresa».
E dopo, come ha commentato? Ha detto che aveva fatto bene o male?
«Perché mi chiedi questo?».
In genere in Italia tra marito e moglie si parla di queste cose.
«Hai
capito male, hai capito male. Non pensare che io e mia moglie non ci
parliamo. Sull’acquisto delle opere, sulla costruzione del museo andiamo
molto d’accordo. Non ci sono divergenze. Con mia moglie Wang Wei sulla
costruzione del museo e sulle collezioni artistiche andiamo sempre molto
d’accordo. E poi ci siamo conosciuti che avevamo 23 anni, stiamo
insieme da trenta».
Liu e Wang hanno quattro figli, la signora ha
detto in un’intervista di aver cominciato ad amare davvero il marito al
secondo. La coppia è solidale e solida: una fonte del mondo delle aste
d’arte che li conosce bene dice a «la Lettura» che la signora è molto
attiva, decide con lui. Liu e Wang hanno anche buoni consiglieri ma non
sono come tanti nuovi miliardari che si fanno decorare la casa, hanno il
loro gusto.
C’è un’opera che vorrebbe avere a qualsiasi prezzo?
«Penso che ogni cosa abbia il suo prezzo. “A qualsiasi prezzo” è solo un modo di dire, c’è sempre un prezzo».
Ha un’opera preferita nella sua collezione?
«Tutti gli acquisti li ho fatti perché le opere mi piacevano. Le rispetto tutte».
E una che ancora non ha?
«Nella
vita desideriamo tante cose. Il desiderio è infinito. È la natura
dell’uomo. Ma poi dipende dalle occasioni. Certi quadri ti possono
piacere, ma appartengono ai musei e magari potranno circolare solo fra
trecento anni. C’è sempre l’incertezza. Il collezionista segue le
tendenze, a questo mondo tutto dev’essere fatto seguendo le tendenze.
Che cosa comprerò alla prossima occasione? Oggi sono seduto qui a farmi
intervistare, qualche anno fa non lo avrei proprio immaginato. Non
sapevo di poter costruire il Museo del Drago. Che cosa vuoi che possa
dire sul futuro?».
Allora parliamo un po’ del suo passato. È vero che ha fatto il tassista a Shanghai? Sembra una leggenda...
«Che
cosa significa vero o meno vero? Leggenda? Certo che l’ho fatto. Ti
stupisci perché da voi fare l’autista è sempre stato un lavoro modesto,
ma bisogna pensare allo sviluppo sociale in Cina nel 1985, io ho guidato
un taxi nel 1985, avevo comprato due macchine. Allora a Shanghai la
gente doveva aspettare un’ora per prendere il taxi, erano molto
ricercati. Non era un mestiere, era un business. Oggi naturalmente è
tutto diverso. Ti spiego così capisci meglio: abbiamo potuto accumulare
ricchezza in pochi anni grazie alle nuove opportunità offerte dal
mercato. Ecco, io posso essere la fotografia della Cina dopo la riforma e
l’apertura. Non è un miracolo mio, ma del nostro Paese che nel giro di
trent’anni ha creato ricchezza e crescita economica. Forse nella storia
non c’era mai stata un’ascesa così rapida. Ora che l’economia cinese ha
un ritmo di crescita un po’ più lento, il mondo globalizzato ne subisce
le fluttuazioni».
Abbiamo sentito un’altra cosa: da ragazzo ha
lasciato la scuola per aiutare sua madre nel taglio e nella cucitura di
borse da vendere al mercato. Dicono che lei abbia un pollice più grande
per quanto ha impugnato le forbici. Vero?
Il miliardario-collezionista Liu passa la sigaretta nella sinistra e si guarda la mano destra.
«Sì,
ho il pollice un po’ più grosso. Forse non sai come sono le forbici da
sarti, sono pesanti e le ho usate a lungo. Non solo le borse sapevo
fare, anche i vestiti e i pantaloni».
È una forma d’arte anche questa. I sarti italiani sono degli artisti.
Liu non si fa incantare dal tentativo di complimento.
«Era
soprattutto per la sopravvivenza. Alla fine degli anni Settanta e
all’inizio degli Ottanta la Cina era tanto povera. Io ho vissuto la
povertà della Cina e una buona stagione di crescita. Questo processo è
nato dal bisogno di sopravvivenza, dalla ricerca di come liberarci dalla
povertà, forse anche perché la nostra generazione ha un forte
desiderio. Ci ha giocato anche la personalità... è difficile dire cosa
ci rende diversi, la nostra generazione dico, forse è questa volontà di
cambiare la vita e il destino. Questo istinto è diventato un’abitudine.
Cosa abbiamo pensato? Non abbiamo pensato molto. È stato un risultato
portato dalle circostanze sociali, dalle opportunità che si
presentavano, dalla produzione delle borse al taxi, alla Borsa,
all’azienda, al museo, tutto è stato graduale».
Lei ha guadagnato moltissimo in Borsa, dicono che è un genio infallibile, ci darebbe un consiglio?
«Se tutte le Borse nel mondo scendessero e basta, non ci sarebbero più Borse» (ride) .
Perché ha aperto due musei a Shanghai e tra poco uno a Chongqing?
«Non
posso dire di averlo fatto solo per responsabilità sociale, non sono
così nobile. Però tanti aspettano che gli altri si assumano più
responsabilità di loro, se tutti agiscono così la società non fa più
progressi. Ecco, la responsabilità sociale ha una certa importanza nel
mio ragionamento. Insieme allo sviluppo economico sono cresciute le
nostre passioni, compresa quella per la cultura, c’è bisogno anche di
ammirare l’arte e io ho delle collezioni. Però, per quanto tempo può
collezionare una persona? Diciamo cinquant’anni. Io spero che il Long
Museum possa durare più di cinquant’anni, magari più di cento. È inutile
usare grandi parole, io spero ma ci sono molte incertezze, tutto può
succedere».
Ci sono state cose scritte su di lei dai giornali cinesi e stranieri che l’hanno ferita? Quali?
«Un uomo dev’essere generoso, ora non me la prendo più, la vita è difficile per tutti. Anche per i giornalisti, penso».
(ha collaborato Yu Weiwei)