domenica 13 marzo 2016

Corriere La Lettura 13.3.16
Esplorazioni
Italiani e norvegesi nel cielo e il Polo Nord restò di ghiaccio
Novant’anni fa Amundsen e Nobile
sul dirigibile «Norge» svelarono che l’Artico non è terra. E mostrarono
la sintonia fra due popoli
di Marzio Mian

Quando il re di Norvegia, Harald V, visiterà Roma e Milano ai primi d’aprile, saranno passati novant’anni da quando suo nonno Haakon VII decise di scendere da palazzo per accogliere, insieme a migliaia di persone, l’arrivo del dirigibile Norge a Oslo. Il sovrano attese un’ora alla base del pilone d’attracco per salutare i due protagonisti della spedizione che li avrebbe portati non solo a sorvolare per la prima volta il Polo Nord, quanto a scoprire che l’unica regione ancora ignota della Terra non era terra — come molti credevano — bensì mare ghiacciato. Un’impresa che, un mese dopo, il 12 maggio 1926, fu vissuta nel mondo quasi con l’emozione di uno sbarco sulla Luna. Ma sotto quel pilone, quando il sovrano strinse la mano a Roald Amundsen, esploratore veterano, e al giovane colonnello Umberto Nobile, si celebrò anche uno dei momenti più intensi della relazione tra Norvegia e Italia: non classica attrazione degli opposti ma piuttosto il risultato di sintonie culturali (Ibsen e Pirandello) e di sintonie di carattere.
In fatto di spedizioni, Italia e Norvegia, soprattutto in quei decenni, se la giocavano. Il Duca degli Abruzzi, per dire, nel 1900 aveva piantato la bandiera alla latitudine Nord più avanzata dell’epoca. Sono anni di retorica, di «ardimento italiano», ma anche di tanti primati di regime. Uno dei fiori all’occhiello è senz’altro il dirigibile, venduto alle grandi potenze. Quando Amundsen vuole essere il primo a sorvolare il Polo Nord, dopo aver conquistato l’Antartide, non può che rivolgersi al direttore dello Stabilimento di costruzioni aeronautiche, un napoletano taciturno e ambizioso: Nobile riesce a ottenere da Mussolini l’incarico di pilotare il «suo» dirigibile, anche se non ha nemmeno il brevetto. D’altronde anche Nuvolari guidava senza patente.
Nobile, come Mussolini, capisce che è un’occasione di gloria, mentre il ras del cielo Italo Balbo sente allungarsi l’ombra di un pericoloso concorrente. A pagare, oltre al governo norvegese, è un avventuriero americano, Lincoln Ellsworth, cacciatore di orsi e oro in Alaska, ma l’Italia ottiene di condividere la missione. «Amundsen, che era un duro e un prepotente, subì quella trattativa e non si fidava di Nobile, tra i due fu diffidenza immediata», ricorda a «la Lettura» il pronipote, Petter Johannesen, responsabile di una società norvegese nel settore petrolifero, esploratore polare a sua volta e molto legato all’Italia: «Lo giudicava un improvvisatore, tipico meridionale. Prima della partenza, durante un tragitto in auto a Roma, notò che Nobile accelerava nelle curve. Pensò come avrebbe guidato sui ghiacci… Invece si rivelò un pilota eccezionale ed eroico, specie nell’ultimo drammatico tratto».
Un altro elemento di scontro fu la scelta degli uomini, Nobile riuscì a imporre metà dell’equipaggio e anche di farsi accompagnare da Titina, la sua cagnetta portafortuna. Il volo non si poteva compiere in un solo tratto, bisognava procedere a tappe per rifornimento di benzina e idrogeno. L’ultimo sbalzo , come il «Corriere» titolò una corrispondenza di Cesco Tomaselli dalla Baia del Re, sarebbe stato dalle isole Svalbard all’Alaska. Il Norge attraversa l’Europa in una marcia d’avvicinamento che serve anche a far montare l’attenzione mediatica mondiale. Raggiunge prima Pulham in Inghilterra, quindi Oslo. Sulla rotta per Leningrado il primo impatto con la nebbia: il radiogoniometro dice Finlandia ma l’altezza del sole dà mezzo grado più a Sud, Estonia. Nobile controlla un fiume, cerca una traccia nelle architetture delle chiese. «Un gruppo di contadini sta a guardarci, mi viene l’idea d’interrogarli», annota. Lancia un messaggio in tre lingue contenuto in una scatoletta di carne: «Che Paese è questo? Finlandia? Se sì, alzate le braccia». Ma non funziona. Decide di abbassarsi fino a leggere il nome di una stazione ferroviaria. Si trovano a Valga, al confine tra Estonia e Lettonia.
A Leningrado i Soviet riservano un’accoglienza solenne agli italiani (Amundsen s’imbarcherà solo alle Svalbard), si mobilita mezzo Cremlino, l’Accademia delle Scienze offre un ricevimento memorabile, a Nobile viene assegnato il letto di Alexander Kerensky al Palazzo Imperiale (non a caso, dopo il disastro della seconda spedizione, quella dell’ Italia nel 1928, il reduce emarginato dal regime si auto-esilia in Urss). Il tragitto verso le Svalbard fila via liscio, anche il Mare di Barents non si manifesta insidioso come previsto, «quasi una delusione» scrive Nobile. Al 74° parallelo il primo ghiaccio galleggiante. Alla Baia del Re ci si prepara per l’attraversata: 7 mila chili di benzina, 370 di olio, 379 chili di viveri di riserva in grado di garantire un mese di sopravvivenza. La sera del 10 maggio sul Norge partono in 16. Tolti Amundsen, il magnate Ellsworth e un giornalista norvegese, la manovra era affidata a 13 uomini: 6 italiani, 6 norvegesi e uno svedese. Nobile spende parole speciali per Renato Alessandrini, attrezzatore e timoniere: «Di tanto in tanto andava in esplorazione sulla groppa della nave ad accertarsi che non vi si fosse formato del ghiaccio. Usciva e s’arrampicava con il vento gelido di 80 chilometri all’ora…». Sono momenti che segneranno per sempre la storia di questa regione oggi al centro di una affollata corsa allo sfruttamento delle sue risorse.
Lanciato il tricolore al Polo insieme alle bandiere norvegese e americana, Nobile naviga per 50 ore filate senza mai prendere sonno, lotta contro banchi di nebbia, bufere e spezzoni di ghiaccio sparati come proiettili dalle eliche contro il fragile dirigibile. La lingua di bordo è l’inglese ma Nobile dà ordini in italiano: «Se mi ubbidivano era solo perché le parole erano accompagnate da gesti molto chiari…». Sono attesi a Nome, villaggio davanti allo Stretto di Bering, ma una tormenta costringe il comandante a un atterraggio d’emergenza qualche decina di chilometri prima, tra i pescatori eschimesi di Teller, un pugno di baracche. Anche Amundsen ammette a denti stretti che la manovra del napoletano senza brevetto ha salvato la vita a tutti, «ma da lì le loro strade si divisero per sempre» ricorda il pronipote Petter. «Non volle associarsi a quegli italiani che dopo 13 mila chilometri e 70 ore filate di trasvolata polare si presentavano agli indigeni vestiti in modo impeccabile, con la divisa di rappresentanza e si apprestavano a compiere, per ordine di Mussolini, un tour negli Usa, addirittura ospiti della Casa Bianca, in sostanza a sfilargli l’intera gloria dell’impresa».
Due anni dopo il vecchio e inacidito esploratore norvegese, appresa la notizia del disastro del dirigibile Italia , parte su un idrovolante francese alla ricerca di Nobile ma il destino lo ferma prima.