Corriere La Lettura 13.3.16
Eresia
Un inno al Satana del Corano
Si ribellò a Dio per troppa lealtà
Escono in Italia gli scritti contro l’integralismo di Sadik al-Azm, filosofo siriano perseguitato che vive in Germania
di Marco Ventura
Si
chiama Sadik al-Azm il filosofo siriano che parla all’Arab cultural
club di Beirut il 10 dicembre 1965. Ha 31 anni. È tornato da Yale
entusiasta per il razionalismo filosofico e per il metodo scientifico.
Crede nel socialismo arabo, ma pretende di più. Occorre che tramonti la
vecchia cultura religiosa perché il Medio Oriente si apra al progresso.
La sua lezione a Beirut intende rivisitare nientemeno che la caduta di
Satana. Al-Azm commenta i versetti coranici sulla caduta del maestro
degli angeli, cita mistici e sapienti e giunge a una conclusione
clamorosa. È necessario «drasticamente modificare la nostra visione
tradizionale di Satana e attuare un cambiamento fondamentale nella
nostra concezione». Dovremmo «riabilitarlo al suo vero ruolo: quello di
un angelo che si è dedicato sinceramente e appassionatamente al servizio
di Dio e che ha eseguito i decreti della Sua volontà con la massima
cura e precisione». Dopo averlo «additato erroneamente e ingiuriosamente
come il responsabile di ogni misfatto e ogni abominio», Satana andrebbe
perdonato e riabilitato. Ciò «ci obbligherebbe a cambiare molte delle
nostre opinioni religiose e credenze tradizionali relative a questo
mondo e all’aldilà».
Il testo della lezione fu pubblicato nei mesi
successivi. Seguirono altri saggi dell’autore sulla crisi della
religione nella modernità. Il razionalismo era la risposta giusta, al
passo coi tempi, ma la vecchia cultura resisteva; si intravvedevano i
segni di un revival religioso nella società e di una politica sempre più
impastata di islam. Nel 1967, la reazione alla sconfitta araba nella
guerra dei Sei giorni confermò i timori di al-Azm. Invece di cogliere il
significato profondo della vittoria di Israele, invece di denunciare
l’arretratezza del mondo arabo e di ripensare il ruolo della religione,
gli intellettuali si aggrappavano al motto «l’islam è la risposta». In
Egitto, Siria, Libano, si addebitava ormai il trionfo di Israele
all’apostasia di un progetto panarabo senza Dio. Al modello dell’Egitto
di Nasser si sostituiva quello dell’Arabia Saudita dei Wahhabi.
Nel
1968 al-Azm pubblicò il suo primo libro, Autocritica dopo la sconfitta .
In polemica contro l’islamismo politico emergente che imputava la
guerra persa al materialismo socialista e invocava il riscatto in nome
dell’islam, l’autore individuava le cause del tracollo in un sistema
culturale ed educativo oppresso dall’oscurantismo religioso e nella
mancata modernizzazione di un mondo arabo impermeabile alla rivoluzione
scientifica. Nel 1969 Sadik al-Azm pubblicò in un secondo volume,
Critica del pensiero religioso , vari saggi già usciti, tra cui quello
su Satana, intitolato La tragedia del diavolo . Il volume rese famoso
l’autore, lo portò per pochi giorni in carcere e poi, nella primavera
del 1970, in tribunale. Al-Azm uscì vittorioso dal processo e il suo
nome e i suoi libri furono consegnati per i decenni a venire alla cura
dei pezzi di società araba che non si sarebbero arresi al realizzarsi
dell’incubo islamista denunciato dal giovane siriano.
La Critica
del pensiero religioso ha continuato a circolare, sebbene bandita in
tutti i Paesi arabi a eccezione del Libano. Sono passati cinquant’anni
da quella lezione all’Arab cultural club di Beirut; il filosofo siriano
si è da tempo trasferito in Germania. Il volume è uscito l’anno scorso
in inglese da Gerlach, un editore tedesco specializzato in studi
islamici, ed esce ora in Italia con il titolo La tragedia del diavolo
(Luiss University Press). Anche se il titolo originale coglie meglio il
senso dell’operazione culturale dell’autore, l’editore ha ragione
nell’individuare il saggio su Satana come la chiave del libro e
dell’opera tutta di al-Azm.
Fin dagli anni Sessanta, il filosofo
ha ritenuto che il lavoro necessario sull’islam, e sulla religione in
generale, fosse di duplice natura. Da un lato si tratta di liberare la
religione dal letteralismo e dalla rigidità nell’interpretazione dei
testi sacri e delle norme religiose. Dall’altro, è necessario consentire
alla religione di cambiare, di innovarsi, a partire dal costante
approfondimento e ripensamento delle proprie storie fondatrici. In
questo, la figura di Satana è paradigmatica. Nella tradizione islamica,
Satana è l’imam degli angeli, il predicatore dei cherubini. Quando Allah
crea l’uomo dal fango e comanda agli angeli di prosternarsi ad Adamo,
Satana è l’unico a disobbedire. «Perché non sei tra coloro che si
prosternano?», chiede Allah. Risponde Iblîs, Satana: «Non devo
prosternarmi di fronte a un mortale che hai creato di argilla
risuonante, di mota impastata, sono migliore di lui, mi hai creato dal
fuoco». Giunge allora la condanna divina: «Fuori di qui, che tu sia
bandito. Via! Sarai tra gli abietti». Satana replica: «Dal momento che
mi hai sviato, tenderò loro agguati sulla Tua Retta via, e li insidierò
da davanti e da dietro, da destra e da sinistra, e la maggior parte di
loro non Ti saranno riconoscenti». «Vattene», replica Allah, «scacciato e
coperto di abominio. Riempirò l’Inferno di tutti voi, tu e coloro che
ti avranno seguito».
La grandezza di Satana, per al-Azm, sta nella
sua assoluta lealtà al creatore. Poiché prende sul serio la tawhid , la
professione di fede nell’unicità di Dio, Iblîs non può prosternarsi ad
altri che allo stesso Allah. Dio lo ha sviato con un comandamento che lo
conduce a una scelta tragica, giacché in esso si contraddicono il
principio primo dell’unicità di Dio e il potere di Dio stesso di esigere
obbedienza. Per Sadik al-Azm, l’islam ha bisogno di riconoscere questa
tragicità, l’alternanza di responsabilità e fato, l’«astuzia divina»
nell’imporre all’uomo il proprio arbitrio. Dal carattere tragico di
Satana, «misto di innocenza e peccato, bellezza e bruttezza, giusto e
sbagliato, bene e male», si può imparare a fare i conti con le proprie
contraddizioni. Ispirandosi alla «vera audacia, forza e tempra eroica»
di Iblîs, ci si può attrezzare per vivere «la propria ordalia e il
proprio destino».
Il cambiamento di prospettiva sull’arcangelo
caduto riassume la critica religiosa dell’autore. Sono passati
cinquant’anni. Molta della filosofia della religione materialista di
al-Azm è fuori moda. Resta il bisogno, per i musulmani e non solo, di
«cambiare molte delle nostre opinioni religiose e credenze tradizionali
relative a questo mondo e all’aldilà».