Corriere
Il cuore ferito della città simbolo diventata la capitale di tutta l’Europa
Non è solo la sede della burocrazia, ma il luogo in cui si decidono i destini di milioni di persone
di Federico Fubini
Nessuno
affiderebbe la sicurezza di Washington alla polizia del Distretto di
Columbia o ai servizi segreti della Virginia. Nessuno sarebbe sfiorato
dall’idea di proteggere così la Casa Bianca o il Congresso Usa, eppure è
esattamente quanto accade a Bruxelles. La capitale dell’Unione Europea e
sede dell’Alleanza atlantica, la città al centro di un sistema da 508
milioni di abitanti e di un’economia vasta come quella degli Stati
Uniti, è protetta come un vecchio insediamento di campagna. Le sue
difese dicono tutto della riluttanza dell’Europa ad accettare il ruolo
politico che, perversamente, persino gli islamisti gli hanno
riconosciuto attraverso il sangue versato ieri.
A Bruxelles si
decide in questi mesi il futuro di milioni di profughi siriani e quello
della seconda moneta del mondo. Angela Merkel vi si gioca la cancelleria
di Berlino, e il suo posto nei libri di storia. Nel frattempo la
sicurezza è nelle mani delle autorità belghe e della Région
Bruxelles-Capitale. Questo significa che non può neanche contare su un
corpo di polizia unificato — in città operano sei distinte forze, su
base rionale e clientelare — né su un servizio segreto paragonabile
anche solo a quello di una media potenza occidentale. Dopo gli attacchi a
Charlie Hebdo a Parigi nel gennaio 2015, il governo belga scoprì che
gli mancavano 150 su 750 agenti dell’intelligence; da allora ne ha
reclutati 42 ma, scrive Politico , resteranno in addestramento per
almeno due anni.
Forse il problema è che Bruxelles è troppe cose
in una, riunisce troppe contraddizioni in uno spazio più piccolo di
Milano. La popolazione araba è iniziata ad arrivare negli anni 50 dal
Marocco, dalla Tunisia e dall’Algeria assieme a quella italiana, turca o
portoghese: tutti reclutati nei loro Paesi per le miniere o le
acciaierie della Vallonia. Oggi sono di religione musulmana 300 mila
bruxellesi, poco più di un quarto degli abitanti della capitale; dal
2013 la Valonia, la regione francofona, ha rinominato la sosta natalizia
nelle scuole «vacanze d’inverno» per non urtare nessuna suscettibilità.
La grande maggioranza dei musulmani coesiste in pace con le altre
comunità. C’è poi una minoranza ambigua abbastanza ampia da aver
garantito per mesi la copertura del terrorista Salah Abdeslam a
Molenbeek, a mezz’ora di bicicletta dalla Commissione Ue. Lì accanto, al
mercato degli scannatoi di Anderlecht, si fatica a riconoscere una sola
persona di origine europea in una folla da stadio.
A Bruxelles si
cammina per pochi isolati, e può cambiare la lingua ammessa negli
uffici pubblici (dal francese al fiammingo). Ancora più spesso in una
passeggiata di cinque minuti cambiano gli odori e gli abiti dei
passanti, dalle cravatte firmate, alle tuniche salafite, ai copricapo
tribali del Congo. La Tour Madou, da dove i funzionari della Concorrenza
della Commissione Ue decidono il futuro delle banche italiane,
all’interno è perfettamente asettica. Pratica e disadorna in perfetto
stile eurocratico. Fuori invece è avvolta dalla popolazione musulmana di
Saint Josse, demograficamente debordante e sempre più spesso
radicalizzata nei suoi giovani in cerca di identità. Dall’altra parte
del quartiere europeo, alle spalle del nuovo e enorme Parlamento, le vie
principali di Ixelles sono piene di caffé di gusto francese e di
giovani laureati da ogni angolo d’Europa. Ma le piccole traverse sono
disseminate di obsoleti Internet café dove figli di immigrati marocchini
o bengalesi passano le notti sempre sugli stessi siti web in arabo.
Bruxelles
è troppo complessa, importante e simbolica per considerare quello di
ieri un attacco solamente al Belgio. Persino i nostri nemici,
tragicamente, dichiarano con un atto di guerra che questa è la capitale
politica d’Europa e per i cittadini come per i governi è tempo di
trattarla come tale. Bruxelles si era preparata per mesi a questa
giornata. Sotto Natale il governo belga aveva persino imposto un lungo
coprifuoco; eppure ieri, più di un’ora dopo la prima strage in
aeroporto, nessuno si era curato di fermare le metropolitane per
prevenire il secondo colpo.
Lasciare la sicurezza di Bruxelles al
governo belga e alle sue polizie rionali è come pretendere che il
governo greco e i pescatori di Lesbo gestiscano da soli le ondate dei
rifugiati. Serve una forza di sicurezza europea, lungo i confini e anche
nel centro nevralgico dell’Unione. I terroristi che hanno colpito il
cuore dell’Unione sembrano capire queste contraddizioni più di noi
stessi europei. Facendo esplodere le bombe nell’aeroporto di Zaventem e
nel metrò a due passi dalla Commissione e dal Paramento Ue trattano
Bruxelles — nel loro modo orrendo — da capitale degli Stati uniti
d’Europa. Si vedrà presto se la risposta sarà a questa altezza. O se
dopo le lacrime prevarranno ancora le fughe illusorie dietro i muri o le
piccole frontiere, dove proprio i nostri nemici vorrebbero
rinchiuderci.