mercoledì 23 marzo 2016

Corriere 23.3.16
Possiamo difenderci?
L’Europa dovrà trovare l’equilibrio tra diritti, privacy, sicurezza. In Israele
l’idea di un generale (e di un filosofo)
di Davide Frattini

Ehud Barak ripete di considerarsi un professore di matematica mancato. Quando i numeri, la precisione, i calcoli gli servivano a pianificare le operazioni delle forze speciali e adesso — in pensione dal governo — che giocare con le cifre lo ha reso ricco come consulente globale. Così il soldato più decorato d’Israele ha investito un milione di dollari in un algoritmo che vuole mettere ordine dove i terroristi diffondono il caos, un software per gestire le emergenze, per aiutare la polizia e l’esercito a intervenire nel modo più efficace. L’ex premier e ministro della Difesa spiega che qualunque cittadino può scaricare Reporty sul telefonino: schiacciato un bottone, la app registra un video e in automatico lo invia ai centri di emergenza.
Passanti trasformati in sentinelle. «Tenere gli occhi aperti, chiamare gli agenti a ogni sospetto, è inevitabile che gli europei dovranno sviluppare l’intuito che noi israeliani siamo stati costretti ad acuire». Una mattina del 2002 Amos Yadlin si è svegliato da un incubo e ha deciso di chiamare Asa Kasher. Insieme il generale e il filosofo hanno provato a stabilire le regole da applicare nella guerra al terrorismo: a un matematico hanno chiesto di creare una formula per calcolare quante perdite collaterali tra i civili fossero accettabili prima di eliminare un attentatore. «Anche l’Europa deve rivedere la sua formula — dice adesso Yadlin, l’ex capo dell’intelligence militare che dirige l’Institute for National Security Studies — tra rispetto dei diritti umani, correttezza politica, garanzie per la privacy da una parte e la protezione della vita umana dall’altra. La sicurezza è un diritto che va garantito».
Ricorda che gli israeliani hanno impiegato sei anni per fermare i kamikaze palestinesi, sei anni e l’operazione «Scudo difensivo» ordinata da Ariel Sharon, in sostanza la rioccupazione militare della Cisgiordania. «Durante la seconda Intifada la nostra vita è andata avanti comunque, è l’unico modo di resistere: alla fine il terrorismo va considerato come un incidente d’auto o la criminalità, altrimenti a vincere è lo Stato islamico».
Come fa notare Jason Burke, esperto del quotidiano britannico Guardian , la violenza islamista va a ondate: i periodi più sanguinosi precedenti a questo sono stati tra il 2001 e il 2008. Con il 2010 alla vigilia delle cosiddette «primavere arabe» sembrava che la mareggiata di terrore si stesse ritraendo. «Invece lo scontro sarà ancora lungo — commenta Carlo Strenger — e i leader politici devono avere il coraggio di proclamarlo». Il suo libro Civilized Disdain. Why We Must Take Back the Defense of Freedom from the Right vuole proporre una cura per quella che lo psicanalista e filosofo israeliano considera la «malattia autoimmune del mondo libero»: «Il politicamente corretto va respinto. È incoerente, nessun essere umano può essere obbligato a rispettare posizioni che considera irrazionali o immorali».
Editorialista per il quotidiano liberal Haaretz , è convinto che la guerra al terrorismo debba essere combattuta da una sinistra belligerante che «si riprende la difesa dei valori e della cultura occidentali data in appalto alla destra. Anche perché la risposta populista è la meno efficace, penso a Marine Le Pen che propone di reintrodurre la pena di morte, non mi sembra una gran minaccia per uno jihadista pronto a immolarsi».
Da ormai sei mesi gli israeliani affrontano quelli che i servizi segreti chiamano «lupi solitari», attentatori palestinesi armati di coltello che hanno macerato il piano e l’esasperazione nel chiuso delle loro stanze: escono per uccidere sapendo che saranno uccisi. «Israele dimostra che a essere fondamentale non è tanto la risposta degli individui dopo un attacco quanto quella di tutta la società. Come reagiamo collettivamente definisce la battaglia e la possibile vittoria. I governi devono veicolare due messaggi, uno per gli estremisti (non cambierete la nostra vita) e uno per i cittadini: sarà lunga, non c’è una soluzione immediata, ce la faremo. Purtroppo siamo anche l’esempio di come un Paese per anni sotto la pressione terrorista finisca con lo spostarsi verso la destra nazionalista».