Corriere 23.3.16
ll rapporto con l’islam
I nichilisti e l’argine dei valori
Viviamo una stagione di attacchi diffusi e imprevedibili, perché contro il nichilismo
di chi è disposto a sacrificare la vita pur di bruciarne altre è difficile predisporre difese
di Aldo Cazzullo
È
più di una guerra; è un’epoca. E in questa nuova epoca l’Europa — ieri
centrata al cuore — torna a essere campo di battaglia, come nella prima
metà del Novecento.
Stavolta non è un conflitto tradizionale, con
un inizio e una fine; è una stagione di attacchi diffusi e
imprevedibili, perché contro il nichilismo di chi è disposto a
sacrificare la propria vita pur di bruciarne altre è difficile
predisporre difese.
La proliferazione nucleare apre scenari
spaventosi, unita alla capacità dei terroristi islamici di intervenire
come attori della scena politica mondiale: la bomba di Madrid del 2004
cambiò il verdetto delle elezioni spagnole; esi pensi a come può essere
influenzata la campagna elettorale americana in questo anno cruciale.
Nello
stesso tempo, proprio nei giorni del lutto, si comincia a respirare un
sentimento comune europeo. Lo si è visto il 13 novembre a Parigi, dove
morirono 130 persone di 18 Paesi diversi. Lo si è sentito nell’emozione
per le giovani vite spezzate in Catalogna. Lo si vede ora a Bruxelles.
La città belga non ha lo stesso potere evocativo di Parigi, la stessa
capacità di creare miti letterari e di accendere lumi filosofici. Almeno
fino a ieri, ai nostri occhi era la capitale dell’Europa carolingia,
persa nelle lande brumose del Nord, ai confini tra il mondo gallico e
quello germanico; oltre a essere la sede di istituzioni non
particolarmente amate. Ma in queste ore, forse per la prima volta,
Bruxelles è davvero la capitale dell’Europa che le nostre generazioni
sono chiamate a costruire, con l’apporto dei popoli e non solo dei
burocrati.
L’Europa è nata dalla tragedia della Seconda guerra
mondiale. Ha mosso i primi passi nel clima di energia e fiducia della
ricostruzione. Si è impantanata nello scetticismo e negli egoismi su cui
si è innestata la grande crisi finanziaria. Oggi l’emergenza economica e
gli attacchi terroristici possono contribuire a generare quella spinta
all’integrazione che era venuta meno. Il dolore condiviso è la base su
cui edificare una casa comune.
La nuova Europa deve affrontare per
prima cosa il tema epocale del rapporto con l’Islam: quello del Medio
Oriente, e quello di casa. È stato un grave errore lasciare che
sorgessero enclaves musulmane — la parola ghetto è sbagliata, i ghetti
da Venezia a Varsavia sono stati luoghi di ingiustizia ma anche di
resistenza e costruzione di civiltà — come Molenbeek e altri quartieri
ai margini o in mezzo alle metropoli, dove non si parla francese o
inglese o fiammingo, dove le leggi sono sospese, dove le donne spesso
sono costrette a vivere come a Gaza o a Riad.
Eppure consegnare
l’Islam europeo ai radicali sarebbe un suicidio. La jihad lavora per
esportare nel nostro continente la guerra civile per il potere sul mondo
islamico. Non a caso colpisce negli aeroporti, nelle metropolitane, nei
giornali, nei teatri, per minare le libertà di circolazione e di
espressione: un disegno che va respinto; ad esempio l’idea, che già
circola sul web, di rinviare i campionati di calcio in Francia del
prossimo giugno sarebbe una resa inaccettabile.
Se l’Europa
riuscirà a difendere la legalità e i valori — a cominciare dai diritti
delle donne — senza esporre i suoi cittadini di fede musulmana alla
tentazione ideologica e mediatica degli estremisti, la trama della jihad
potrà ancora spargere altro sangue; ma sarà sconfitta.