mercoledì 23 marzo 2016

Corriere 23.3.16
Una strategia contro il terrore
Le colpe di governi indecisi
Abbiamo bisogno di una polizia federale europea, con poteri sovranazionali e metodi
di indagine unificati, e anche di leggi comuni (per esempio sulle intercettazioni)
di Antonio Polito

Come possiamo proteggerci? Ne usciremo mai? Per quanto tempo ancora rischieremo la vita semplicemente vivendo? Durerà decenni questa guerra, come fu per le «nostre» guerre di religione, che sconvolsero l’Europa tra il ‘500 e il ‘600?
Di fronte alla facilità con cui si può uccidere se si è disposti a morire, restiamo senza fiato, come pietrificati dal soffio gelido che ci vediamo passare affianco in quelle immagini filmate sullo sfondo della nostra vita di ogni giorno: un bambino che trema accovacciato nello shopping mall di un aeroporto, una donna
che fugge nel buio di un tunnel della metropolitana. Come fermarli?
Partiamo da quello che sappiamo. Il nuovo terrorismo islamista ha la testa in Iraq e in Siria, se ne sta costruendo un’altra in Libia, dispone di un piccolo esercito pronto a tutto in Francia e in Belgio. Forse non è vero che hanno dichiarato guerra all’Europa, ma di certo hanno esportato da noi la loro: Bruxelles come Damasco, Parigi come Beirut. Qui in Europa si nutrono di disperazione esistenziale, di scontro tra civiltà, di rabbia generazionale, di sradicamento sociale e culturale. Tra di noi c’è un sacco di gente che ci odia.
Per buttare giù le Torri gemelle di New York, Bin Laden dovette infiltrare un commando negli Stati Uniti. In Europa non c’è bisogno, l’Isis nuota nello stagno delle comunità mediorientali e magrebine che si radicalizzano. Per questo l’epicentro è l’asse franco-belga, non il Londonistan dove prevalgono i pachistani e gli asiatici, non Berlino dove ci sono i turchi. E nemmeno, ringraziando Dio, le nostre banlieue, dove forse l’immigrazione è troppo recente per aver già covato l’uovo del serpente.
Quindi la prima cosa da fare è prosciugare lo stagno. Certo con l’integrazione e la cultura, ma anche con un’opera severissima ed efficace di polizia. Di fronte a questa emergenza, l’Europa dei 28 ha invece polizie divise e frontiere aperte. Ora la tentazione è di chiudere le frontiere: ma come si fa a chiudere quella tra Belgio e Francia? Abdeslam Salah ha viaggiato liberamente in Italia, in Austria, in Olanda, in Germania. Forse una soluzione migliore sarebbe unire le polizie. Gli Stati Uniti inventarono l’Fbi e la Cia quando gli sceriffi non furono più in grado di inseguire i criminali lungo gli Stati. Abbiamo bisogno della stessa cosa, di una polizia federale europea, con poteri sovranazionali e metodi di indagine unificati, e anche di leggi comuni (per esempio sulle intercettazioni).
Nello stesso tempo dobbiamo agire fuori dall’Europa, nei centri dai quali si irradia il messaggio politico e ideologico del Califfato, nei luoghi dove grandi vecchi, probabilmente barbuti, impartiscono comandi ai giovani soldati nelle nostre città. Mettiamoci l’anima in pace: il terrorismo non finirà finché ci saranno gli Stati del terrore. Gli attentati di Bruxelles sono stati probabilmente decisi in Siria. La Libia è candidata a diventare la nuova succursale dell’Isis.
Con tutta la cautela e il buon senso di questo mondo, bisogna fare qualcosa. Ma i governi europei non hanno ancora deciso che cosa, quando, e come. L’indecisione non è prudenza, è ignavia. Un peccato che Dante mise nell’Antinferno.