mercoledì 9 marzo 2016

Corriere 9.3.16
Il Quirinale ammonisce sui pericoli dell’astensione
di Massimo Franco

La constatazione è avvenuta in un’occasione piuttosto rituale: la cerimonia per la festa delle donne. Ma le parole con le quali ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha parlato dell’astensionismo elettorale, rituali non sono state affatto. Sostenere che il non voto «è una ferita che nessuno può permettersi di trascurare», e che la partecipazione «oggi si è ridotta, e purtroppo questo avviene di più tra le donne», significa non cedere alle analisi di comodo: quelle che tendono a definire fisiologica, perfino modernizzante la rinuncia a andare alle urne; e così facendo finiscono per non chiedersi perché accada, temendo forse di doversi rimettere in discussione.
Le parole del capo dello Stato si sono inserite in una situazione di grande nervosismo dopo le votazioni per le primarie del Pd in alcune grandi città, da Roma a Napoli. Ma è chiaro che l’ammonimento non va riferito a quei casi particolari. Riguarda purtroppo un fenomeno più generale, legato al distacco progressivo tra politica e corpo elettorale: una crisi di rappresentanza che non riguarda l’uno o l’altro partito ma l’intero sistema. Se infatti l’astensionismo aumenta, significa che nessuna forza è in grado di arginarlo e sconfiggerlo; che ogni movimento, per quanto inserito nel sistema o dichiaratamente antisistema, in realtà è parte della crisi, non la sua soluzione.
Fa impressione la virulenza dello scontro nel Pd dopo il flop di partecipazione a Roma e alcuni episodi sconcertanti a Napoli. A questo si aggiunge la guerra tra dem e M5S ma anche tra FI e Lega. La sensazione che si trasmette è di una campagna elettorale giocata sulla delegittimazione avversaria, e con la tendenza a non spiegare un programma di governo locale. Forse, l’unica eccezione parziale è Milano. Il risultato è di aggravare la deriva verso la sfiducia e il disimpegno. La vera cifra delle polemiche è la strumentalità e la difficoltà a parlare dei problemi delle città.
La partecipazione deludente alle primarie è una «ferita» che oggi tocca il Pd, ma presto può riguardare tutti. Il percorso verso le urne, finora, è stato soprattutto lotta tra Matteo Renzi e i suoi avversari nel Pd: magari per destabilizzare Palazzo Chigi con una sconfitta alle comunali, o per mettere in mora le primarie. I soldi pagati a Napoli in alcuni seggi dem per indurre la gente a votare stanno provocando una bufera. Lo sconfitto Antonio Bassolino ha presentato un ricorso e si definisce «disgustato per il mercimonio». Il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, parla di «strumentalizzazioni» contro le primarie.
Ma c’è anche la lotta per chi comanda in un centrodestra unito formalmente, eppure diviso tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini; e segnato dal sospetto intermittente di accordi segreti tra il capo di FI e il premier del Pd. Questo permette al Movimento 5 Stelle di attaccare più comodamente da fuori, mettendo in ombra le vistose tensioni e le opacità che pure esistono al suo interno. Su uno sfondo così confuso e avvelenato, tuttavia, è difficile che qualcuno vinca davvero, e dunque che la credibilità del sistema politico si risollevi. L’avvitamento sulle polemiche tradisce un involontario istinto autodistruttivo. E offre lo spettacolo di un deserto politico nel quale prima o poi potrebbe spuntare qualcos’altro. In positivo, si spera.