lunedì 7 marzo 2016

Corriere 7.3.16
Le file sparite, i gazebo rubati e le «verifiche» sui verdiniani
La segretaria della storica sezione in centro: nessun nome accende gli animi
di Fabrizio Roncone

ROMA Telefonano ad Orfini.
«Matteo, hai visto? Non piove…».
Ormai lo conoscete, Orfini. Mezza parola e un sospiro di fastidio, come Massimo D’Alema, il suo maestro.
Il giovane presidente del Pd e commissario straordinario del partito a Roma non cede all’entusiasmo, sa che l’affluenza a queste primarie non dipenderà solo dalle condizioni meteorologiche: l’inchiesta Mafia Capitale, certe connivenze dei dem, e poi la tragica caduta del sindaco Ignazio Marino e i suoi strascichi avvelenati, hanno lacerato i militanti, persino i più tosti, nell’animo.
E non solo: pochi giorni fa è anche arrivata la notizia dell’appoggio promesso dal potente Denis Verdini al candidato renziano Roberto Giachetti (abbraccio pubblico, imbarazzante. Giachetti, terrorizzato, s’è subito scansato: «No, scusate: io veramente non ho chiesto alcun aiuto…»).
Sì, ci sono proprio tutte le condizioni perché possa essere una domenica complicata e, a suo modo, abbastanza memorabile.
Però bisogna andare a controllare.
E un posto da controllare è il seggio allestito nella sezione di via dei Giubbonari, un luogo storico della politica romana (sul muro esterno, c’è ancora la targa in marmo «Pci, sezione Regola Campitelli, Guido Rattoppatore»; dentro, le foto in bianco e nero di Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer: di lato, quella di Aldo Moro, aggiunta nei tormentati giorni della fusione tra Ds e Margherita).
Squarci azzurri dentro le nuvole su nel cielo e nessuna fila qui nella stradina che finisce in piazza Campo de’ Fiori. I militanti entrano, votano, escono. La segretaria della sezione, Giulia Urso, osserva rassegnata.
«Sa, sulla scheda è piuttosto complicato trovare un candidato che accenda gli animi…».
E poi la disaffezione è profonda.
«Diciamo che, negli ultimi tempi, siamo stati messi a dura prova».
Stiamo parlando, ci sono due fotografi, poi arriva una troupe dell’ Aria che tira , il programma de La7, e va diritta verso un tipo sui vent’anni tutto in ghingheri, con un giaccone firmato e vistoso, jeans stretto e modaiolo, scarponcini in cuoio da equitazione.
Gli chiedono se è un verdiniano.
E lui: «Ma no!».
Il cronista insiste: «Coraggio, dica la verità…».
«No, davvero, glielo giuro… Io sono il rappresentante della lista Giachetti. Non mi guardi così, la prego».
L’abbigliamento non fa il monaco e, ormai, nemmeno più il politico. Una volta con un simile abbigliamento li incontravi solo ai raduni dei giovani di FI e invece questo ragazzo molto cortese e piuttosto indignato dal sospetto suscitato è Enrico Pagano, di anni 22, il presidente dei giovani democratici di Roma.
Abbigliamento da partito della nazione, giusto?
Non coglie la battuta. Controlla l’iPad. Mette su una smorfia di stupore.
Sono le 11.30 e il Pd ha annunciato che già ventimila persone hanno votato nei 193 seggi.
Giulia Urso — competenza assoluta e ancora grande passione — ha una cifra diversa: «A me risultano circa 13 mila votanti».
Trovarli non è facile.
In piazza Mazzini, in fila sotto al gazebo ci sono solo dodici persone. La segretaria della locale sezione, Susanna Mazzà — «L’ho cresciuto io, politicamente, Orfini. Ed è cresciuto bene fino a che…»: frase eloquente che spiega il clima dentro al partito — ammette che l’affluenza è debole.
«Che ora è?».
Sono quasi le 14.
«Beh, siamo ancora a 320 votanti: ma pensi che alle primarie del 2013, alla fine della giornata, raggiungemmo addirittura quota 1400…».
È fiacca ovunque.
Al seggio di piazza Ippolito Nievo, pochi raggelati militanti. Via Twitter dal XIV municipio: «998 votanti alle 13. Nel #2013, a fine giornata, votarono in 5500». Da via Lupi: «Solo 51 votanti e #gazebo sparito».
Ne hanno rubato uno anche a Primavalle. Al circolo Pd di via dell’Archeologia, nella notte, hanno sigillato la serratura con il silicone e appeso un cartello funebre sulla porta: «La democrazia uccisa senza pietà da chi aveva il compito di mantenerla viva». All’Appio Claudio, quelli del collettivo Militant espongono le foto di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, i due criminali che avevano — e non è detto che sia giusto mettere i verbi al passato — infestato il Campidoglio e i partiti, compreso — come si sa — il Pd.
I sei candidati hanno votato tutti. Roberto Morassut — vecchia scuola comunista — s’è poi fatto il giro degli altri seggi «per ringraziare i militanti». Giachetti ha votato nel gazebo allestito davanti alla sezione di Donna Olimpia (quelli della sezione sono in polemica ruvida con Orfini e l’altro giorno gli hanno addirittura fatto trovare la porta d’ingresso chiusa): Giachetti, dopo una campagna elettorale faticosa, costretto ovunque andasse ad ascoltare il lamento dei militanti delusi e, talvolta, inferociti, era di eccellente umore, come alla fine di un brutto viaggio, e ad un certo punto s’è pure caricato sullo scooter quella peste di Enrico Lucci delle Iene , e se l’è portato via.
Big avvistati: D’Alema (voto per Morassut) e Nicola Zingaretti (per Giachetti). Segnalate un paio di contestazioni a favore di Marino. Ai seggi solo poche decine di immigrati («Per forza, Buzzi e Carminati sono in cella», commentano perfidi osservatori).
Comincia a girare un dato ufficioso, confermato da Morassut: alle 19, i votanti sarebbero 30 mila (nel 2013, alla fine, furono 94 mila). Il Pd ne conta un po’ di più: 40 mila. Ma a piazza Zama, uno dei seggi più grandi della città, al buio, sotto una pioggia sottile, in coda ci sono quattro persone.
Telefonano di nuovo a Orfini.
«Matteo, è un flop. E adesso?».