Corriere 5.3.16
Pensiero ed esperienza
Contraddirsi? A volte aiuta
La
recente conferma sperimentale delle onde gravitazionali intuite da
Einstein riapre il dibattito (mai pacificato) sui fondamenti del metodo
scientifico e su come possano convivere tecnica e senso comune
di Emanuele Severino
Princìpi
Kurt Gödel ha dimostrato la possibilità che lo sviluppo della conoscenza matematica implichi anche delle contraddizioni
Nobel:
il fisico Albert Einstein, (1879 - 1955), premio Nobel nel 1921.
Previde le onde gravitazionali nel 1915, registrate il 14 settembre
2015.
In una lettera inviata a Max Born alla fine del
1926, Albert Einstein scrive: «Nessuna quantità di esperimenti potrà
dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho
sbagliato». Da dieci anni aveva incominciato a render nota la teoria
della relatività generale, in cui viene dedotta l’esistenza delle «onde
gravitazionali», ora finalmente osservate da un laser di altissima
tecnologia. L’«osservazione» è un «esperimento». In esso viene
constatato un «fatto», ossia una certo evento — ad esempio un punto
luminoso (interpretato come «stella») che in un telescopio
opportunamente predisposto coincide con una lineetta nera del
reticolato. Ma, dice Einstein, «nessuna quantità di esperimenti potrà
dimostrare che ho ragione» — e che quindi egli aveva ragione nel
prevedere, ad esempio, l’esistenza delle «onde gravitazionali».
Si
può dire che in sostanza l’affermazione di Einstein si muova
nell’ambito del concetto aristotelico di «induzione» ( epagoghé ): si
può osservare per un numero di volte alto quanto si vuole che le cose di
una certa specie hanno una certa proprietà ma da queste osservazioni
non si può concludere che tutte le cose di quella specie abbiano questa
proprietà e che quindi mostreranno, nelle osservazioni successive, di
avere tale proprietà. Non si può infatti escludere che, dopo un gran
numero di conferme, il laser che ha consentito di sperimentare le «onde
gravitazionali» non abbia più a mostrarne l’esistenza. È improbabile
quanto si vuole ma non impossibile.
Queste considerazioni non
scalfiscono minimamente l’enorme importanza della sperimentazione di
quelle onde. Anche perché la seconda parte dell’affermazione di Einstein
— «un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato» — non è così
fuori discussione come può sembrare (soprattutto dopo gli sviluppi che
essa ha avuto nell’epistemologia di Karl Popper). Infatti, se è
possibile che il laser di cui si sta parlando, abbia a mostrare
l’opposto di quel che ha mostrato, è anche possibile che in seguito
torni a mostrare quel che in primo tempo ha mostrato. Se per «aver
ragione» intorno a una tesi si intende che nessun esperimento potrà far
osservare qualcosa di opposto a essa, allora, certamente, un unico
esperimento può mostrare che questa tesi è sbagliata.
Ma che dire
di un laser che nella maggior parte dei casi abbia a mostrare
l’esistenza delle onde gravitazionali e solo in uno o in pochi altri
casi non abbia a mostrarla? Che dire di un motore che una volta o poche
volte non ha funzionato ma che per lo più funziona bene? Lo si butterà
via? La scienza ha imparato a non buttar via le conoscenze che
funzionano come questo motore. Anzi, quando riesce a guardare sé stessa,
si rende conto che nessuno dei suoi principi «ha ragione» nel senso qui
sopra indicato: nessuno è universalmente valido e definitivamente vero.
L’estrema potenza che la scienza e la tecnica sanno oggi produrre è
proprio dovuta al rifiuto di conoscenze che abbiano la pretesa di essere
universali e definitive. La potenza si è tolta la maschera della verità
ed è diventata il valore supremo. Il valere non è forse l’avere
potenza?
E i supremi principi della tradizione
filosofico-scientifica? Ad esempio il «principio di non contraddizione»?
Per essa non può venire smentito dai «fatti». Tale principio afferma: È
impossibile che, nel medesimo tempo, una cosa abbia e non abbia una
certa proprietà. La tradizione ha creduto che come non può essere
smentito dai «fatti», così non è affermato in base alla loro
osservazione. Che un segmento di retta — crede la tradizione — non possa
essere nel medesimo tempo maggiore e minore di un altro segmento non lo
si afferma perché finora non abbiamo osservato segmenti di retta che
nello stesso tempo siano maggiori e minori di altri; ed è impossibile
che lo si osservarvi in futuro.
Certo, queste sono le intenzioni
della tradizione. Negli ultimi due secoli è emersa la tendenza a
ritenere che quel principio non è una verità assoluta e definitiva ma ha
un valore pratico (si pensi a Nietzsche o a Lukasiewicz). Se si vuol
esser potenti, bisogna che, quando lo si è, non si sia
contemporaneamente impotenti. E d’altra parte, se la contraddizione (per
esempio il mentire) rende potenti, perché non contraddirsi? Ma la
questione è estremamente complessa, e non può essere qui districata.
Limitiamoci ad alcune osservazioni.
I due contributi fondamentali
della fisica contemporanea — teoria della relatività e fisica
quantistica mostrano — almeno sinora, di essere tra loro in
contraddizione. Ma nessun fisico rinuncerebbe per questo a servirsi di
entrambi. E se Kurt Gödel ha dimostrato la possibilità che lo sviluppo
del sapere matematico abbia a implicare delle contraddizioni, qualora
ciò avvenisse i matematici non volterebbero le spalle alla matematica
esistente. L’esperimento che ha fatto osservare l’esistenza delle onde
gravitazionali è stato salutato con legittima soddisfazione perché non
smentisce la teoria della relatività. Ma che cosa significa non
smentirla? Significa che non l’ha contraddetta. Se l’avesse
contraddetta, i fisici avrebbero incominciato a dubitare della sua
validità ma non smetterebbero di praticarla. In questo modo la fisica
mostra la volontà di non contraddirsi. La quale è insieme volontà che la
realtà non sia contraddittoria: volontà, pertanto, che i «fatti» che
smentiscono il contenuto di una teoria e questo contenuto non abbiano a
coesistere. Si metta da parte, si pensa, il mito della verità assoluta e
definitiva del «principio di non contraddizione»; ma è «meglio» —
«opportuno», «conveniente», «utile», fortificante — evitare la
contraddizione.
Che nelle opere e nelle conoscenze sia «meglio»,
in molti casi, non contraddirsi è un precetto ampiamente seguito.
D’altra parte i grandi principi della cultura occidentale, come appunto
il «principio di non contraddizione», si presentano come dogmi, miti che
non riescono a mostrare la loro innegabilità. C’è oggi una certa
propensione ai «fatti», all’«esperienza», piuttosto che ai «princìpi»;
perfino in campo matematico. Tra la previsione teorica delle onde
gravitazionali, operata dalla logica e dalla matematica della teoria
della relatività, e l’esperimento che ha fatto osservare la loro
esistenza, è questo secondo, tendenzialmente, ad avere l’ultima parola.
Una tendenza diffusa, ovunque si tratti di confrontare le teorie ai
«fatti» — e, questo, anche se è a sua volta diffusa la convinzione che i
«fatti» non siano puri fatti ma «carichi di teoria» (come si sostiene,
sia pure in modi diversi, in un certo settore della filosofia del nostro
tempo e nella fisica quantistica).
Presente, quella tendenza,
anche negli ambiti apparentemente più distanti dalle questioni qui
considerate. Ad esempio in ambito giuridico. In sede giudiziaria, la
deduzione logica dell’esistenza di un «fatto» (la deduzione che propone
una «teoria») non ha la stessa forza di convinzione di una testimonianza
affidabile. Il testimone è infatti colui che sperimenta un fatto. Se i
giudici decidono che la sua testimonianza sia affidabile, essa è da loro
ritenuta più affidabile della teoria consistente nella deduzione logica
che conduce all’affermazione o alla negazione dell’esistenza di quel
fatto. Questo, anche se il decidere che una testimonianza sia affidabile
è un enorme «carico» che viene messo sulle spalle del fatto
testimoniato.
Ho inteso mostrare alcuni aspetti del farsi largo,
nel nostro tempo, della volontà di potenza. Poi, la gran questione è il
senso di tale volontà. Essa è presente sin dall’inizio della storia
dell’uomo. E continua ad esserlo anche quando il popolo greco, dando
inizio alla storia dell’Occidente, incomincia a pensare il senso della
verità innegabile, cioè a credere nella differenza tra volontà e verità.
Oggi la volontà di potenza si sta liberando della verità. Sta
diventando estremamente coerente. Ma siamo sicuri che non si tratti
della coerenza della Follia?