sabato 5 marzo 2016

Corriere 5.3.16
Perché i teorici dell’attacco sono dovuti arretrare
di Massimo Franco

I teorici italiani di un attacco in tempi brevi sono costretti a battere in ritirata. Sta prendendo corpo un’unità nazionale inedita, che per paura e per lucidità si rende conto delle incognite di un’azione militare affrettata in Libia. Sono i fantasmi del passato e quelli di oggi a suggerire cautela. Nel marzo del 2011 i bombardamenti di francesi e inglesi, e poi i missili statunitensi, archiviarono l’era del dittatore Muhammar Gheddafi. Senza programmare il «dopo», però.
Il contraccolpo di quell’intervento è il caos libico odierno: un vuoto che rischia di essere riempito dall’Isis, Daesh, come si preferisce dire in Occidente usando la dizione araba che significa «seminatori di discordia». E lo spettro che adesso sconsiglia qualunque accelerazione è duplice. «Con atti di guerra cresce il pericolo del terrorismo», spiega il procuratore nazionale Franco Roberti. E si prevedono nuove ondate di migranti in fuga da una Libia sconvolta da un conflitto del quale saranno accusati l’Europa e l’Occidente.
Per questo, dopo le prime parole bellicose affiorate qui e là dopo la morte di due ostaggi (altri due sono stati liberati ieri), il «no» alla guerra è trasversale. Dal M5S alla Lega, passando per i partiti di governo, la consapevolezza di infilarsi in un gioco pericoloso è diffusa. Non basta l’idea di guidare una spedizione armata in una situazione di totale caos. Quello che in apparenza è un omaggio al prestigio nazionale, in realtà potrebbe rivelarsi presto una trappola. Per paradosso, la pressione degli alleati suggerisce a Matteo Renzi un supplemento di cautela.
La via maestra risulta dunque ancora di più un passaggio in Parlamento. L’obiettivo è di prendere il tempo necessario per capire che cosa sta realmente accadendo sul territorio libico; e solo dopo avere analizzato con freddezza le forze in campo, concordare una reazione. L’idea di bruciare i tempi senza aspettare quelli del governo di Tripoli è già tramontata. Fino a che non nascerà un esecutivo in grado di chiedere aiuto, l’Italia aspetterà. L’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, ieri è stato di una chiarezza brutale. «La guerra in Libia l’hanno iniziata i francesi con gli inglesi», ha ricordato. «Ed è stata un disastro».
C’è più del sospetto che quei Paesi invochino una massiccia presenza militare italiana, perfino una leadership delle operazioni, per scaricare le proprie responsabilità. Ma per motivi diversi, i partiti sono uniti nel «no». No a un «nuovo Vietnam», secondo Alessandro Di Battista del M5S. No a un conflitto che porta «un’immigrazione selvaggia», per il leghista Roberto Maroni. Meglio una «santa alleanza» anche con russi e arabi, secondo Pier Ferdinando Casini, capo dell’Udc. Forse conta anche il fatto che, nei sondaggi, l’81 per cento degli italiani non vuole un intervento in Libia.