Corriere 4.3.16
Narcisismo di massa
Condividiamo ogni
esperienza, anche banale e misuriamo la soddisfazione in «like» Ecco
perché il digitale ci rende autoreferenziali
di Paolo Di Stefano
Nella
psicologia dell’era digitale, una delle voci più rilevanti è quella del
Narcisismo. Per la verità, un «classico» molto dibattuto di Christopher
Lasch, datato fine anni 70, ci aveva spiegato quanto già allora la
nostra vita fosse fondata su un individualismo esasperato diffuso a
tutti i livelli: indubbiamente aveva visto lontano, non potendo
immaginare che un giorno sarebbe arrivata la cosiddetta «sindrome selfie
o Instagram». Nel 2007, Jean Twenge, psicologa dell’Università di San
Diego ed editorialista del Time , aveva battezzato come Generation Me
(ovvero Generazione Io , titolo di un suo famoso saggio) la deriva
narcisistica, segnalandola come uno dei tratti più notevoli dei giovani
americani. Dimostrando peraltro come l’«epidemia narcisistica», dal 1980
a oggi, sia cresciuta nella stessa misura dell’obesità. Del resto,
anche in Italia, su questa strada abbiamo avuto numerose e significative
diagnosi, a cominciare dallo studio sociologico di Vincenzo Cesareo e
Italo Vaccarini che assume il narcisismo come una sorta di metafora
della contemporaneità. «Io io io»: è un trionfo ovunque, in tv, sui
giornali, nel web, nella vita quotidiana.
Ora, il Guardian ,
chiamando in causa Elan Golomb (autrice del celebre Trapped in the
Mirror , «Prigionieri dello specchio») e un altro specialista, Pat
MacDonald, rilancia l’allarme sociale: «È diventata una routine per le
celebrità trasmettere le più banali informazioni e riempire Instagram
con le fotografie dei momenti più importanti della loro giornata: il
principio è che, per un personaggio famoso, nulla è banale». Il che fa
pensare a Mark Zuckerberg che getta in pasto al clic compulsivo del
popolo di Facebook le sequenze della neonata Max al primo vagito, al
primo bagnetto, alla prima vaccinazione... È palese che la tecnologia
funziona da volano orbeterraqueo per la propria autostima: e la quantità
di «like» e di «follower» finisce per misurare il grado di
soddisfazione degli interessati. Ma che cosa succede quando il
meccanismo autopromozionale più comodo per personaggi mediatici tipo
Paris Hilton o Cristiano Ronaldo diventa un modello davvero «virale», da
imitare, anche per un adolescente di Abbiategrasso? Cesare Viviani, che
è poeta e psicanalista, oltre che autore di acuti aforismi sui
cambiamenti della vita sociale, ha una sua interpretazione del fenomeno:
«Da una parte il narcisismo è il ripiegamento in sé dell’energia
vitale, sottratta all’investimento negli altri: cioè alla possibilità di
arricchirsi attraverso lo scambio di esperienze e al tempo stesso alla
possibilità di perdere un po’ delle proprie certezze e della propria
fisionomia mettendosi in gioco. D’altra parte il narcisista, con il suo
senso di onnipotenza, negando l’esperienza vitale nega anche il limite
della morte». Una sorta di risparmio energetico emotivo che si oppone
all’iperattività nel consumo materiale: «La civiltà tecnologica —
prosegue Viviani — invita a risparmiarsi sul piano affettivo e a evitare
le occasioni di confronto con gli altri, proprio mentre ti sollecita a
consumare il massimo di tutto: si tende a sostituire le relazioni umane
con l’investimento sugli oggetti, che rimangono dove li lasci, senza
mettere in gioco la tua personalità».
È anche vero che la capacità
progettuale di individui appagati di sé finisce per essere
necessariamente debole, se non assente: e quando questo diventa un male
collettivo è l’intera società a soffrirne. Qui, secondo Viviani, entra
l’aspetto educativo: «La tendenza dei genitori ad appagare ogni
desiderio dei figli, per evitare anche il minimo conflitto, ha
conseguenze nella crescita psichica. Sottrarre i propri figli alla prova
dell’impegno, della responsabilità e anche della frustrazione...
contribuisce a creare generazioni autogratificate e autoriferite per le
quali l’altro è solo una presenza disturbante». Tra gli esempi più
recenti del trionfante narcisismo, l’editorialista del Guardian Zoe
Williams non esita a collocare il candidato repubblicano Donald Trump,
capigliatura dorata da conduttore di varietà, eccentricità carnevalesca
come sinonimo di successo e di ricchezza compiaciuta di sé.
«L’esposizione in politica della propria onnipotenza — dice Viviani — è
una mina vagante, non solo per sé ma anche per gli altri». Certo,
neanche in un romanzo di Philip Dick si riuscirebbe a immaginare
un’America abitata da milioni di Trump. Ma è iperrealistico immaginare
un mondo che aspiri a diventarlo.