Corriere 4.3.16
Cautela bipartisan sull’opzione militare
di Massimo Franco
La
pressione per un’azione militare in Libia aumenta, come era prevedibile
dopo la morte di due italiani avvenuta ieri. Rimane tuttavia
soprattutto la cautela, ed è più che giustificata. Il governo di Matteo
Renzi ha davanti gli effetti a dir poco controversi dell’intervento
voluto da Francia e Gran Bretagna nel 2014 contro il regime di Gheddafi;
e in qualche modo subito dall’allora governo di Silvio Berlusconi. La
frantumazione tribale e il terrorismo ne sono il sottoprodotto.
L’insistenza su una copertura internazionale e su una richiesta del
governo libico, nascono dalla memoria degli errori commessi. A
preoccupare è una saldatura tra tribù e Isis in chiave antioccidentale.
Il
tema è delicato, perché incrocia l’allarme che il populismo europeo
fomenta in materia di immigrazione. Matteo Salvini, capo della Lega,
accusa il premier e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,
di essere «o matti o complici». Di Renzi arriva a dire che «ha le mani
sporche di sangue» per la morte dei due ostaggi. Quanto a FI, Paolo
Romani insiste sull’«urgenza» di un intervento. E denuncia l’«assenza»
del governo. Il quadro sembra destinato a inasprirsi. Quanto si delinea
prescinde da un’analisi dell’accaduto. Esaspera posizioni latenti,
marcate in modo strumentale.
Eppure, Berlusconi ammette il
«rischio di vittime innocenti, se si intraprendono interventi
frettolosi»: d’accordo con l’ex presidente della Commissione Ue, Romano
Prodi, per il quale ora «non ci sono le condizioni per intervenire». In
Libia mancano interlocutori: un’anarchia alla quale hanno contribuito i
bombardamenti del 2014, decisi senza calcolare i contraccolpi del
dopo-Gheddafi. Per questo si ripete che l’opzione militare «è sul
tavolo», senza darla per scontata. È una cautela che Mattarella
condivise col presidente Usa, Barack Obama, nell’incontro dell’8
febbraio alla Casa Bianca.
È nota la presenza in territorio libico
di reparti speciali statunitensi, inglesi e francesi. E i servizi di
sicurezza italiani si muovono da sempre in quell’area, nella quale i
nostri interessi energetici, petrolio e gas, sono corposi anche dopo la
caduta del regime e la frattura geografica e politica della Libia. Il
problema è se e quanto un’eventuale intensificazione dell’allarme per
gli attacchi dell’Isis cambierà il tipo di risposta. Ma il rischio di
una reazione influenzata dalla paura dell’opinione pubblica
aggiungerebbe, non sottrarrebbe incognite. Per questo, è prevedibile che
di qui alla fine della settimana saranno prese solo le decisioni più
urgenti.
Per arginare le polemiche delle opposizioni, dal
Carroccio al Movimento 5 stelle, il 9 marzo il ministro degli Esteri,
Paolo Gentiloni, andrà in Parlamento a illustrare la situazione. In una
settimana, il quadro libico dovrebbe forse risultare meno confuso di
quanto fosse ancora ieri sera. E ci sarà stato anche il vertice sui
migranti tra capi di governo europei e Turchia, in programma il 7 marzo a
Bruxelles. L’obiettivo è quello di tenere distinta la crisi dei
profughi dalla minaccia terroristica; e soprattutto, di evitare che
un’azione militare evochi quella «Guerra Santa» con l’Occidente,
fortemente cercata dai macellai di Daesh per mettere la loro ipoteca
sull’Islam.