Corriere 31.3.16
Le mani legate di Roma sul caso Regeni
È l’Egitto a decidere cosa condividere
Raggiunta una prima intesa con il Cairo. Renzi chiede che la Procura «abbia accesso a tutte le carte»
ROMA
Tra Italia e Egitto non c’è un trattato di cooperazione giudiziaria. Il
poco che è accaduto finora nei rapporti fra magistrati è solo frutto
delle rispettive buone volontà, come quello che potrà accadere in
futuro. Spirito di collaborazione, e niente altro. Questa sconsolata ma
realistica premessa è necessaria per farsi un’idea di che cosa ci si può
legittimamente attendere dalla doppia inchiesta — egiziana e italiana —
sul sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Due indagini
che in realtà sono una sola, di cui restano titolari gli inquirenti del
Cairo; la Procura di Roma può offrire l’aiuto eventualmente richiesto e
giudicare i risultati.
Su di essa confida il premier Matteo Renzi,
quando chiede che «abbia accesso a tutte le carte» e ribadisce che «noi
ci fermeremo soltanto quando avremo trovato la verità». Che non può
essere nessuna delle tante vagheggiate finora, compresa l’ultima
messinscena dalla quale sembra che anche gli egiziani intendano fare
marcia indietro: i cinque presunti criminali comuni uccisi e
asseritamente trovati in possesso del passaporto e di altri documenti di
Regeni. Martedì prossimo, giorno fissato per l’incontro tra gli
investigatori dei due Paesi sollecitato da una lettera del ministro
dell’Interno Alfano, proprio a partire da quell’episodio si potrà capire
quanto le autorità del Cairo facciano sul serio.
Il nuovo depistaggio
Al
di là della incredibile, prima ricostruzione dei fatti, la storia dei
morti ammazzati collegati al giovane ricercatore assassinato ha aperto
un nuovo filone investigativo: la ricomparsa dei documenti d’identità di
Giulio, che verosimilmente sono stati messi a bella posta accanto ai
cadaveri, o nelle loro abitazioni, in un goffo tentativo di depistaggio.
Da chi? E perché? La tv locale Dream ha trasmesso l’intervista allo zio
di una delle vittime, secondo il quale il nipote fu prelevato dalla
polizia e poi ucciso, con colpi sparati quasi a bruciapelo: ci sono
riscontri a queste affermazioni? O smentite attendibili?
Se gli
elementi che i poliziotti egiziani porteranno a Roma la prossima
settimana daranno qualche pur generica indicazione per rispondere a
queste domande, vorrà dire che la dichiarata disponibilità a cercare la
verità è quantomeno credibile (che poi arrivi a qualche risultato è
un’altra storia); se viceversa le risposte del Cairo ignoreranno questo
capitolo dell’indagine, limitandosi a fornire le informazioni richieste
ormai due mesi fa, sarà lecito dubitare delle reali intenzioni egiziane.
Il
rientro in Italia del team investigativo composto da poliziotti del
Servizio centrale operativo e carabinieri del Ros (uno o due componenti
sono comunque rimasti al Cairo, per ogni evenienza) serve a preparare al
meglio l’incontro di martedì. Che difficilmente si rivelerà «il giorno
della verità», ma potrà fornire qualche dettaglio in più. Per esempio:
l’identità certa e i contatti telefonici delle persone indicate come
coinvolte nel sequestro di Giulio, per verificare se davvero qualcuno di
loro è stato nei pressi dell’abitazione del ragazzo il giorno del
rapimento, o del luogo in cui è stato ritrovato il cadavere, una
settimana dopo. E ancora: come si sono mossi e con quali persone hanno
parlato nei giorni della scomparsa di Regeni.
Nuove richieste
Anche
l’elenco delle telefonate fatte e ricevute da Giulio nelle ultime
settimane della sua esistenza (non solo degli ultimi tre giorni, già
fornito) è atteso dagli investigatori italiani; così come quelle del
coinquilino che, secondo alcune testimonianze, avrebbe parlato di visite
della polizia locale a Regeni prima della sua sparizione: l’uomo è già
stato interrogato al Cairo, ma su questo punto non gli sono state fatte
domande. E sempre a proposito di tabulati, bisognerà vedere se gli
egiziani porteranno dei semplici numeri di telefono oppure anche dei
nomi, e magari i risultati di accertamenti già svolti sul loro conto;
sarà un’altra prova delle loro reali intenzioni.
Ieri la Procura
generale del Cairo ha annunciato la creazione di un pool di magistrati
dei vari distretti interessati dalle indagini, e ha confermato l’intesa
raggiunta con Roma per «scambiare le informazioni fino ad arrivare agli
autori di questo caso e a portarli davanti a un tribunale penale per
essere puniti per quello che hanno commesso». Renzi si affida
all’esperienza e alla professionalità del procuratore Pignatone. Il
quale per adesso, insieme al sostituto Colaiocco, non può che attendere
di conoscere quello che i colleghi egiziani intenderanno condividere. E
magari proporre un protocollo bilaterale che permetta a poliziotti e
carabinieri di partecipare alle attività d’indagine più e meglio di come
hanno fatto finora. Ma è indispensabile, per l’appunto, la
disponibilità del Cairo.
Il nodo politico
Ecco perché il
nodo resta politico, prima che giudiziario. È ciò che sostiene il
senatore Luigi Manconi, che affianca la famiglia Regeni come ha fatto in
passato con i familiari di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi,
Giuseppe Uva e altri morti in stato di detenzione. In quei casi però, la
magistratura aveva in mano le redini delle indagini; qui no. «I margini
dell’azione penale italiana sono strettissimi — spiega Manconi —,
perciò bisogna agire politicamente per costringere l’Egitto a dare
sostanza alla propria azione penale».
Giovanni Bianconi