Corriere 31.3.16
Il valore segreto di un referendum
di Michele Ainis
Avanza
a fari spenti un referendum. Pochi s’accorgono della sua marcia
silenziosa, e forse saranno anche di meno gli italiani che monteranno a
bordo, quando il veicolo avrà raggiunto le urne elettorali. D’altronde
si tratta d’un quesito minimo, minuscolo: sì o no alle trivellazioni
sull’Adriatico, però entro le 12 miglia dalla costa, però senza toccare
l’estrazione di gas e di petrolio in terraferma o in mare aperto, però
senza interrompere le trivellazioni in corso, però senza nemmeno
incidere sulle future concessioni, già vietate dalla legge. È in gioco
unicamente l’eventualità che le compagnie petrolifere ottengano una
proroga finché non s’esaurisca il giacimento, tutto qui.
Pinzillacchere,
direbbe Totò. Tuttavia non è affatto sicuro che questo referendum ci
interroghi su questioni trascurabili. Nessuna consultazione popolare è
mai insignificante, quale che sia il suo oggetto. Perché ogni referendum
espone sempre un doppio tema: l’uno diretto, che si legge nella domanda
trascritta sulla scheda elettorale; l’altro indiretto, dove s’affaccia
viceversa una rete d’allusioni e di rimandi, un’evocazione, una carica
simbolica. Così, nel 1985 il referendum sulla scala mobile segnò
l’isolamento del Pci. Così, nel 1991 il referendum sulla preferenza
unica modificò un dettaglio della legge elettorale, ma avviò al contempo
i funerali della Prima Repubblica. Probabilmente in questo caso non
scriveremo un’altra pagina di storia. Sennonché pure stavolta c’è un
significato ulteriore rispetto a quello più immediato. Anzi: i doppi
sensi sono almeno il doppio, sono quattro.
p rimo: il risvolto
istituzionale. Il 67º referendum abrogativo dell’Italia repubblicana è
anche il primo promosso dalle Regioni. Dalla Liguria alla Calabria, dal
Veneto alla Puglia, sono addirittura 9 i Consigli regionali che hanno
puntato l’arma referendaria contro una legge benedetta dal governo
nazionale. Regioni settentrionali e meridionali, amministrate dalla
destra oppure dalla sinistra.
Dunque si profila uno scontro fra
poteri, ancor prima che fra partiti e movimenti. La posta in gioco: chi
decide sull’energia? Secondo la Costituzione vigente, decidono insieme
lo Stato e le Regioni; secondo la Costituzione prossima ventura,
deciderà solo lo Stato. E allora ecco, puntuale, la reazione. Che non ha
mai troppo riguardo alle bandiere di partito, quando c’è da presidiare
l’orticello delle proprie competenze. E che oltretutto associa 9
governatori eletti, contro un presidente del Consiglio non eletto.
Sicché il referendum potrà delegittimare i primi, rilegittimare il
secondo: un torneo a eliminazione diretta.
Secondo: il risvolto
politico. Come succede fatalmente da un paio d’anni, ogni occasione
diventa altresì un pretesto per regolare i conti all’interno del Pd; e
infatti maggioranza e minoranza militano in due fronti contrapposti. Ma
quest’ultima si trova in compagnia, più o meno rumorosa, della Lega, i
Cinque Stelle, pezzi di Forza Italia, Sel. Guardacaso, lo stesso
schieramento che si prepara ad affrontare la madre di tutte le
battaglie, il referendum costituzionale d’ottobre. Il 17 aprile ne
vedremo perciò le prove generali, e sarà un gran bel vedere.
Terzo:
il risvolto giuridico. Doppio anche questo, perché il nostro
ordinamento contempla, da una parte, il dovere civico del voto; sicché
nei referendum organizzare l’astensione è «un trucco», un espediente per
far saltare il quorum, come denunziò Norberto Bobbio nel giugno 1990.
Dall’altra
parte, concepisce il voto come diritto, e i diritti non sono
obbligatori, ciascuno può scegliere se e quando esercitarli. Perciò è
legittimo ogni appello all’astensione, tanto più che i costituenti
dettarono un quorum per la validità dei referendum. È questa la
posizione del Pd sulle trivelle, ma i precedenti sono più lunghi d’un
lenzuolo.
Tuttavia due norme in vigore (l’articolo 98 del testo
unico delle leggi elettorali per la Camera; l’articolo 51 della legge
che disciplina i referendum) castigano l’astensione organizzata da
chiunque sia «investito di un pubblico potere» con pene detentive (da 6
mesi a 3 anni). Sono norme figlie d’una stagione ormai trascorsa, quando
votava il 90% della popolazione, quando l’astensionista doveva
addirittura giustificarsi presso il sindaco. Ma sta di fatto che a
nessun governo è venuto in mente d’abrogarle.
Quarto: il risvolto
ambientale. Dovrebbe essere al centro della consultazione, ed è così,
quantomeno a parole. Sennonché in questo caso non si tratta di
proteggere l’udito dei cetacei minacciato dall’air-gun, come sostengono
le associazioni ecologiste; tutto sommato non si tratta nemmeno
d’opporre ambiente e occupazione, come prospettano i sindacati. No, la
posta in palio investe la credibilità delle classi politiche regionali,
che rifiutano la trivellazione, però allevano i colibatteri nelle acque
dell’Adriatico, disinteressandosi dei depuratori così come di
controllare i fiumi. E investe perciò il progetto stesso d’una politica
ambientale, lungimirante, coerente, complessiva, dove ci sia anche
spazio per le energie rinnovabili. In Italia coprono il 17% dei consumi;
in Norvegia, Islanda, Svezia, oltre la metà. Non a caso Avvenire , per
sposare il referendum, ha richiamato le parole di Bergoglio, il monito
papale contro le tecnologie basate sui combustibili. Il 17 aprile
voteremo anche sul papa .