Corriere 2.3.16
Sanders promette di restare in gara Clinton guarda oltre
di Maria Laura Rodotà
«Vincere
dà dipendenza, e Clinton è tossicodipendenza pura». Hunter S. Thompson,
giornalista-scrittore esplicito, scriveva decenni fa e parlava di Bill
(in un libro sulla politica intitolato Better Than Sex ). Ma è una
sindrome di coppia. Dati per vinti gli Stati del Sud dove si votava
ieri, i Clinton hanno dedicato la giornata a cercare di stravincere. Si
sono divisi i due Stati importanti in bilico, per sconfiggere Bernie
Sanders anche lì: Hillary ha fatto «campaign stops» in Minnesota; Bill
ha simpaticamente molestato gli elettori in alcuni seggi del
Massachusetts. I loro attivisti in Colorado hanno battuto le zone
ispaniche di Denver, dove i liberal bianchi sono per Bernie. Team
Clinton ha lavorato per fare cappotto (il Vermont di Sanders escluso)
per blindare la nomination nel Super Tuesday. Bernie fa sapere che
comunque vada, resta in corsa, fino alla convention di luglio. Ha il
sostegno — se non l’affluenza ai seggi — degli elettori giovani. E
grazie agli spot anti-ultraricchi che comprano le elezioni, agli spot
strappacore con musiche di Simon & Garfunkel, alle continue
vibranti e-mail che chiedono pochi dollari a chiunque abbia dato il suo
indirizzo, la sua campagna può durare. Solo a febbraio, nonostante due
sconfitte, ha raccolto 40 milioni. Ma Clinton, al netto degli Stati
incerti — e al netto del suo spostamento a sinistra prodotto dalla corsa
di Sanders, e dalla necessità di mantenere un’agenda progressista per
tenere i suoi elettori e farli votare a novembre — ormai non se ne
occupa. Si concentra su «The Donald».
La nuova strategia
clintoniana per diventare presidente sconfiggendo Trump è stata
raccontata ieri dal New York Times . Coinvolge, a dirla in rima, Hill,
Bill, Barack e i super PAC. Hillary farà la Candidata: autorevole,
ultra-competente, umana, insomma superiore. Bill, anche detto Big Dog,
sarà il molosso da combattimento: è convinto che il pericolo Trump vada
preso seriamente (i repubblicani non lo hanno fatto, la fine è nota);
risponderà lui agli attacchi di Trump; soprattutto, sarà lui ad
attaccarlo direttamente. Obama ha già detto che un Trump alla Casa
Bianca sarebbe inaffidabile; continuerà a ripetere che il presidente «ha
con sé i codici nucleari e può mandare soldati ventenni in battaglia»,
mica a Las Vegas, o altri posti da Trump.
I super PAC, i Political
Action Committees, secondo la legge (poi insomma) sganciati dalle
campagne elettorali e con possibilità di contributi e spese gigantesche,
faranno il lavoro sporco. Bombardare tv e web di spot, interventi,
post, video, notizie. Scrive il Times : «Racconteranno Trump come un
misogino, un razzista, un nemico dei lavoratori il cui temperamento
insolente metterà la nazione e il mondo in grave pericolo». Nel
frattempo, staffer, studiosi, esperti di flussi elettorali analizzeranno
il suo appeal populista. Altri faranno «opposition research» sui suoi
affari loschi, le sue bancarotte, le sue bugie. Il super PAC American
Bridge ha già formato un’unità di «economisti e fiscalisti che stanno
esaminando documenti su traffici finanziari e procedimenti legali». La
Emily’s List, che appoggia le candidate pro-aborto, sta catalogando
video e battute offensivi per le donne. Altri gruppi fanno lo stesso con
gli interventi razzisti. Da riproporre nonstop; mentre Hillary parlerà,
si è deciso, di un America che ha bisogno di «amore e gentilezza».
Anche se non le sarà facile restare affettuosa e vincere gli scambi
contro un rivale il cui lo slogan, secondo l’ex manager di Obama David
Plouffe, è «odio e castrazione». In questi giorni, in America, non
sembra neanche che esageri.