Corriere 29.3.16
L’altra vita del capitano Otto Skorzeny
«Diventò un killer del Mossad» La vera storia dell’SS del Duce
Nuovi dettagli sull’ex ufficiale nazista che liberò Mussolini dal Gran Sasso e dopo la guerra aiutò Israele
di Paolo Salom
«Abbiamo
stretto un patto con il diavolo». Questo il pensiero degli agenti del
Mossad che nei primi mesi del 1962 riuscirono a «persuadere» Otto
Skorzeny — l’ex ufficiale delle SS che liberò Mussolini dal Gran Sasso —
a diventare non solo un preziosissimo informatore per il servizio di
intelligence del neonato Stato ebraico ma, addirittura, un killer capace
di eliminare gli scienziati tedeschi che allora si erano messi al
servizio del Paese considerato il nemico numero uno di Israele:
l’Egitto. I particolari di come sia avvenuto un simile incontro — una
spy story degna di Hollywood — sono raccontati dall’americano The Jewish
Forward e dall’israeliano Haaretz . Non è la prima volta che l’episodio
viene alla luce. Tanto che persino Benny Morris lo ha citato nel suo
saggio «Mossad» (Rizzoli, 2003), ma senza riuscire a rivelare il ruolo
di assassino di Skorzeny che gli autori del lungo e dettagliato
articolo, Dan Raviv e Yossi Melman, hanno potuto riscontrare grazie alle
loro fonti nel segretissimo «Istituto».
Antefatto. Otto Skorzeny,
allora 35enne capitano delle SS, nell’estate del 1943 fu incaricato
personalmente da Hitler, di cui sarebbe diventato un pupillo, di
liberare il Duce, imprigionato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, per
ordine di Badoglio. L’operazione Quercia ebbe luogo il 12 settembre:
l’ufficiale nazista scese con una formazione di alianti sull’altipiano.
Con lui cento paracadutisti che non trovarono reazione tra gli italiani.
Mussolini era libero, pronto a iniziare la tragica epopea della
Repubblica sociale; Skorzeny, da quel momento, un eroe e non più
capitano: ma tenente colonnello. Le vicende della guerra lo portarono
ovunque in Europa. Fu poi processato dagli americani ma riuscì a
fuggire, aiutato da complici, e a rifugiarsi in Spagna.
La nuova
storia comincia da una notizia di cronaca. L’11 settembre 1962, Heinz
Krug, scienziato tedesco che durante la guerra aveva lavorato al
programma missilistico nazista nella base di Peenemünde, sparisce senza
lasciare traccia. Un giornale israeliano spiega — ma è un depistaggio —
che Krug è stato rapito dagli egiziani per «impedirgli contatti con
Israele». La verità, emerge ora, è ben diversa. Krug era stato sì
rapito. Ma non dagli egiziani: è Skorzeny l’uomo chiave di questa
vicenda. Scortato da tre «guardie del corpo» (in realtà agenti del
Mossad tra i quali un giovane Yitzhak Shamir, futuro premier di Israele,
e un altro, Zvi «Peter» Malkin, membro della squadra che aveva
catturato Eichmann in Argentina), Skorzeny porta Krug in una foresta e
lo uccide senza esitare un secondo. Lo scienziato si era messo al
servizio del programma missilistico egiziano e per questo era diventato
un pericolo esistenziale per lo Stato ebraico.
La soluzione, per
un’intuizione dell’allora capo del Mossad, Isser Harel, era arrivata
proprio grazie all’arruolamento di Skorzeny, avvicinato nel suo buen
retiro di Madrid al principio del 1962 da Yosef «Joe» Raanan, il «terzo
uomo» del gruppo. A momenti l’operazione era fallita: l’uomo aveva
capito che i due giovani erano spie israeliane. «Siete venuti per
uccidermi — gridò Skorzeny, il viso ancora affascinante solcato da una
vecchia cicatrice, un revolver spianato e pronto a sparare —. Siete del
Mossad». La risposta, tranquilla e incisiva, in pochi minuti raddrizzò
la situazione: «È vero, siamo del Mossad — confessò l’uomo — ma non
siamo venuti per ucciderti, se avessimo voluto farlo, saresti morto da
settimane». Poi l’incredibile offerta: aiutare lo Stato ebraico nella
lotta per la sua sopravvivenza. Skorzeny godeva di una fama intatta nei
circoli degli ex nazisti. Poteva avvicinare chiunque tra i molti
scienziati che si erano messi (per soldi e non solo) a disposizione
degli egiziani desiderosi di sviluppare un programma missilistico capace
di regalare al Cairo la supremazia strategica sull’odiato vicino. Il
punto era: perché mai Skorzeny avrebbe dovuto mettersi al servizio degli
israeliani? Non per avidità: «Sono abbastanza ricco, non ho bisogno di
denaro», chiarì subito. Ma un accordo poteva essere trovato: «Voglio che
Simon Wiesenthal tolga il mio nome dalla sua maledetta lista!».
Skorzeny temeva di fare la fine di Eichmann. Dunque accettò l’offerta e
da quel momento fu uno dei più validi collaboratori dei servizi
israeliani. Si recò più volte in Egitto, portando indietro la lista di
tutti i principali scienziati (tedeschi) all’opera per costruire il
missile capace di colpire Israele. Addirittura, inviò lui stesso un
pacco bomba che uccise cinque egiziani in una base segreta. E poi, il
rapimento e l’omicidio di Kurt Heinz.
Un giorno, Otto Skorzeny fu
persino invitato, sotto falsa identità, in Israele e i suoi ospiti lo
portarono in visita allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di
Gerusalemme. Skorzeny durante tutta la visita fu silenzioso e mostrò
rispetto. Ma fu riconosciuto da un ex deportato: «È un nazista!». Uno
degli accompagnatori rispose tranquillo: «Si sbaglia, è un mio parente:
anche lui ha sofferto durante la Shoah». Il lavoro — molto fruttuoso —
proseguì per anni. Nessuno ha mai capito fino in fondo perché lui abbia
accettato: sensi di colpa? Paura di essere ucciso? Il Mossad, dal canto
suo, continuò l’opera di intimidazione ed eliminazione dei nemici dello
Stato ebraico: come per gli organizzatori dell’attentato a Monaco 1972.
Con ogni mezzo. Anche stringendo, se necessario, patti con il diavolo. O
falsificando le carte: Wiesenthal non accettò mai di cancellare dalla
sua lista il nome di Skorzeny. Così all’ex ufficiale fu consegnata una
lettera realizzata a Tel Aviv con la firma (riprodotta) del cacciatore
di nazisti: tanto bastò a donargli sonni tranquilli.