Corriere 24.3.16
Il filosofo Michael Walzer
«Ora il rischio è l’ascesa della destra demagogica»
intervista di Massimo Gaggi
«Lo
Stato Islamico mette in pericolo la nostra sicurezza ma è anche, e
forse soprattutto, una minaccia per le democrazie dell’Occidente che
rischiano grosso in un clima di emergenza estrema». Il filosofo Michael
Walzer, docente di Princeton e teorico della «guerra giusta», è
intervenuto spesso sulla necessità di reagire con forza all’attacco del
terrorismo in Europa, soprattutto dopo le stragi di Parigi. Oggi, però,
dopo Bruxelles, guarda allarmato agli Stati Uniti, oltre che al nostro
continente.
«Mi preoccupo ogni volta che i miei nipoti partono per
Parigi e Bruxelles», confessa. «Ma adesso mi spaventa ancora di più
quello che potrebbe accadere in ottobre, alla vigilia del voto per la
Casa Bianca: un’ondata di attentati, magari anche qui, negli Stati
Uniti. E Donald Trump che vince le elezioni».
A mali estremi,
estremi rimedi, sostiene il candidato repubblicano per il quale la
ferocia dei terroristi giustifica metodi di lotta più duri del
«waterboarding» negli interrogatori dei prigionieri. Mette nel mirino
anche le famiglie dei terroristi. Qualche pacifista sostiene che lei,
dando una giustificazione morale alla «guerra giusta», dà un alibi a chi
vuole cambiare le regole e passare a metodi sbrigativi.
«Assolutamente
no. La guerra contro il terrorismo va vinta ma deve essere chiaro che
quello che può essere accettabile in un’offensiva militare in Siria, non
lo è nelle operazioni di polizia condotte nei Paesi occidentali.
Bisogna assolutamente evitare gesti che possano favorire il reclutamento
di altri jihadisti. E bisogna stare attenti a non indebolire le nostre
democrazie giustificando le brutalità. Per questo oggi, più ancora dei
danni immediati degli attacchi, mi preoccupano gli spazi che il
terrorismo apre a una destra radicale, demagogica e antidemoratica».
Lei
parla comunque di guerra, a proposito dell’Isis. Non si rischia di dare
la dignità di quasi-Stato a quella che Barack Obama, temendo «conflitti
di civiltà», liquida come una banda di volgari assassini?
«Il
conflitto non è tra civilità diverse, ma all’interno di ogni religione:
in ognuna sono spuntati gruppi radicali pronti a tutto. Ci sono
nell’Islam, ma anche tra i cristiani, ci sono gli estremisti buddisti in
Birmania, ci sono i nazionalisti induisti e i sionisti messianici in
Israele. Il fanatismo religioso c’è in ogni civiltà: è quello che va
combattuto».
La guerra all’Isis fin qui non ha dato i risultati sperati. Perché?
«Troppi
pochi mezzi usati nelle offensive sul campo nei territori controllati
dall’Isis mentre nelle strade d’Europa sono stati fatti molti errori. Lo
stato d’emergenza è necessario, ma le brutalità a volte sono gratuite,
dovute a carenze d’addestramento. È un po’ quello che è accaduto negli
Usa con “Black Lives Matter”: un movimento che spinge le polizie a
prepararsi meglio, ad affrontare le crisi nei ghetti i modo più
professionale».
Intanto lo Stato Islamico si espande verso la Libia. Che fare?
«In
Siria sinceramente non so. È una situazione incancrenita. Forse si può
solo aiutare chi cerca una soluzione politica e tagliare ovunque
possibile i canali di finanziamento dell’Isis sperando che alla fine
l’incendio si spenga. In Libia, invece, è necessario un intervento della
Ue a fianco di un governo che ridia un minimo di stabilità al Paese. In
Siria è difficile andare oltre un’azione di contenimento, ma bisogna
assolutamente evitare che l’Isis si espanda altrove».
Anche alleandosi con la Russia e chiudendo un occhio su quanto accade in Ucraina?
«Anche
con la Russia, nonostante quei misfatti. La politica è l’arte di fare
distinzioni. Si può cooperare in Medio Oriente con chi è un nemico in
Europa. E a Damasco bisogna cambiare regime lasciando il Paese
nell’orbita russa, alla quale la Siria appartiene da tempo».