Corriere 1.3.16
Il declino di Roma e Napoli
di Antonio Polito
Grandi
e magnifiche, ma depresse e sconfitte, Roma e Napoli votano domenica
nelle primarie del Pd, il primo dei tre turni elettorali che le
porteranno a scegliersi un sindaco. La confusione regna sovrana a destra
e a sinistra, uscite entrambe a pezzi dalle esperienze amministrative
precedenti. La destra è in tre pezzi a Roma, per la precisione: quello
che ha candidato Bertolaso, quello che gli si ribella con Storace, e
quello che tifa Marchini (non è escluso neanche un quarto brandello, con
il ritorno in campo di Giorgia Meloni). La sinistra, che pure il
governo di Roma l’ha perso sul campo con la pochade di Ignazio Marino,
sta in realtà peggio a Napoli, dove dopo cinque anni di opposizione la
novità delle primarie è l’eterno ritorno dell’uguale: Antonio Bassolino.
Non
è del resto un caso se i partiti tradizionali, quelli che governano da
decenni l’Italia e le grandi città, rischiano di dover cedere il passo
proprio a Roma e Napoli ai campioni dell’anti politica, già sperimentati
come l’arancione de Magistris o all’esordio come la cinquestelle Raggi.
Queste due grandi aree metropolitane sono infatti forse il punto più
dolente e marcito della crisi italiana, e in questi anni sono scivolate
sempre più lontano dall’Europa, sempre più risucchiate verso il Sud del
mondo. La Capitale non è solo «infetta», come nel titolo del libro del
magistrato Alfonso Sabella, che qualcosa ne sa visto che è stato
l’ultimo assessore alla legalità, nel pieno dell’inchiesta sulla mafia
capitolina.
Oggi Roma è anche un sistema urbano fallito per
assenza di manutenzione, una città in cui un evento banale come la cacca
degli uccelli può provocare una crisi del traffico, o l’autocombustione
estiva di rifiuti non rimossi in una pineta può far chiudere
l’aeroporto internazionale di Fiumicino.
La crisi dell’ordinario è
anche più straordinaria a Napoli, perché si combina con l’esplosione di
violenza e di sopraffazione che una lunghissima depressione sociale ha
generato sotto forma di camorra diffusa, dando vita a un’organizzazione
comunitaria parallela e alternativa allo stato di diritto, la quale
insegna ai giovani di quelle terre che il diritto è la forza e il debole
è destinato a soccombere.
Così la parte sana di queste due
metropoli sembra piegata sotto il peso di un tale disastro civile. Lo
spirito pubblico è in preda alla rassegnazione, che si manifesta sotto
forma di cinismo, indifferenza e individualismo esasperato a Roma, e
sotto forma di ribellismo e plebeismo identitario a Napoli. Vi domina un
senso di sfiducia nei poteri pubblici, un rifiuto della democrazia dei
partiti che neanche l’energia cinetica di Renzi è riuscita finora ad
assorbire, e che anzi proprio da Roma e Napoli potrebbe fare massa
critica anche contro il governo centrale. Sarebbe sbagliato
sottovalutarlo.
Invece i leader nazionali sembrano giocare con la
crisi di queste due città una partita non sincera, preoccupata delle
conseguenze elettorali che può avere altrove piuttosto che tesa a
rimetterle in piedi. Le idee in campo finora, quando ci sono, sono
insoddisfacenti, generiche, già viste. Il commissariamento è stata
finora l’unica risposta del governo. Non è emersa una innovazione per
Napoli o per Roma paragonabile al progetto Human Technopole per Milano.
Mentre l’opposizione di destra parla oggi un linguaggio leghista che a
sud del Garigliano francamente non dice nulla.
Vent’anni fa,
quando dominava la questione settentrionale, si soleva dire che non si
può governare l’Italia senza governare Milano e Torino. Oggi
bisognerebbe dirlo per Roma e Napoli.
Antonio Polito