Corriere 19.3.16
L’identità da scavare
Pietre , memoria, tratti somatici così gli etruschi continuano a scrivere l’alfabeto dei toscani
di Marco Gasperetti
Una
mostra a Prato racconta quella parte dell’antica civiltà che si
insediò tra Firenze e Pistoia. E in tutta la regione continuano le
campagne di ricerca, finanziate non solo dalle istituzioni, ma anche da
cittadini a caccia delle loro radici
S i scava. Nella
terra e nel fango, nella storia e nel Dna, nella mente, persino. Quella
più profonda, atavica, misteriosa. In Toscana c’è una civiltà sepolta,
quella degli Etruschi, che non è solo oggetto di desiderio di archeologi
e storici, ma metafora dell’essenza di un popolo: quello toscano,
appunto. È una cultura, altra, eppure genitrice, capace di raccontare,
dopo millenni, l’identità del singolo e della comunità. Così, la
metafora della regione come Grande Sito, reale e virtuale, alla scoperta
di radici ancora in parte da decifrare, pare essere qualcosa di
tangibile.
Più della metà delle sessanta concessioni di scavo
aperte dalla sovrintendenza archeologica sono dedicate a ritrovamenti
etruschi e non esiste giorno che da quei tumuli non escano
testimonianze. Le mostre-evento, come L’ombra degli Etruschi . Simboli
di un popolo fra pianura e collina di Prato e Gli Etruschi maestri di
scrittura di Cortona, non sono mai finalizzate a se stesse. «Qui in
Toscana sono anche identificazione culturale e persino scoperta
d’identità diverse generate millenni orsono — spiega Gabriella Poggesi,
una delle curatrici della mostra di Prato — perché gli etruschi a nord
dell’Arno, rappresentati nella mostra di Prato, sono diversi da quelli
di Volterra, dell’Aretino o della Maremma. E noi contemporanei ci
identifichiamo anche in queste diversità». Atavici campanilismi? Chissà.
Se
le «Pietre fiesolane» e i bronzi ci raccontano un’età arcaica
«fiorentina», basta muoversi da nord a sud, da est a ovest, per
continuare questo cammino in differenti scenari. Le Vie Cave, il canyon
scavato nella roccia dagli Etruschi tra Pitigliano, Sorano e Sovana,
sono un dedalo di strade misteriose con pareti di roccia di venti metri
di altezza. Ci accompagnano in un cammino attraverso segni esoterici e
monumenti funerari come la «Tomba dei demoni alati» con il suo
inquietante frontone (uno dei più belli al mondo), decorato con la
figura di un demone alato, forse Scilla, antica medusa, mostro spietato
che simboleggia il passaggio agli inferi. Non lontano dal canyon, a
Roselle, c’è un altro sito-laboratorio. Quello delle mura ciclopiche, 8
metri di altezza, 3,2 chilometri d’estensione. Anche qui si continua a
scavare e a pensare al futuro. «Il ministero ha chiesto il diritto di
prelazione per acquisire una parte dell’area archeologica — annuncia il
sovrintendente ai beni archeologici della Toscana, Andrea Pessina — e si
sta lavorando a una serie di itinerari per creare una via Francigena
degli Etruschi».
A Chiusi è stata appena scoperta l’«Innominata»,
una tomba dipinta e ancora senza nome. L’ha trovata un gruppo di
volontari e non è un caso, perché sono molti gli esempi di uomini e
donne innamorati dell’antica gente d’Etruria. Lorenzo Benini, un
industriale fiorentino, dedica parte delle sue ferie per cercare tesori
etruschi e finanzia campagne di scavi. Agli amici racconta che quella
passione faticosissima gli regala la sensazione di conoscere se stesso.
Paolo Panerai, giornalista e imprenditore, finanzia scavi e organizza
con la sovrintendenza mostre dei reperti trovati nei terreni della
splendida cantina d’autore firmata da Renzo Piano sulle colline di
Gavorrano, in provincia di Grosseto.
Gonfienti, la «Prato etrusca»
dalla quale la mostra di Palazzo Pretorio trae ispirazione, è una
miniera di sorprese. Che si vuole trasformare in eccellenza. La Regione
Toscana ha stanziato tre milioni di euro e tra poco nascerà un parco
archeologico unico al mondo. Poi c’è il laboratorio-Volterra, gli scavi
perpetui e l’«Ombra della Sera», la statuetta più famosa e oscura.
Dove
non arrivano scienza e storia, c’è il maltempo ad allearsi e diventare
strumento del Grande Sito. A Baratti, sul lungomare della provincia di
Livorno, un’alluvione seguita da una devastante erosione ha portato alla
luce una necropoli sconosciuta e poco distante sono affiorate le mura
poligonali dell’antica Populonia, una delle roccaforti etrusche. Qui
sembra quasi di vederli gli etruschi. Come accade a Murlo, borgo senese,
dove l’esame del Dna ha dimostrato che i paesani sono i più diretti
discendenti di questo popolo. Guardateli negli occhi, se vi capita di
andare in quel paese: potreste parlare con il pronipote di un lucumone.