Corriere 19.3.16
«In pensione prima con il 3% in meno»
di Federico Fubini e Enrico Marro
Via
 dal lavoro prima, ma con pensioni decurtate del 3% l’anno. A sostenerlo
 è il presidente dell’Inps, Tito Boeri, che ribadisce la necessità di 
correggere la legge Fornero.
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ROMA Presidente 
Boeri, lei insiste sulla necessità di correggere con urgenza la riforma 
Fornero, per consentire ai lavoratori di andare in pensione qualche anno
 prima, sia pure con un assegno più basso. Perché?
«Se il governo 
ha intenzione di introdurre la flessibilità in uscita, vale la pena di 
farlo adesso — risponde il presidente dell’Inps, Tito Boeri —. Il brusco
 innalzamento dei requisiti stabilito con la legge Fornero ha bloccato 
nelle imprese una parte dei lavoratori che altrimenti sarebbero andati 
in pensione. Questo blocco ha avuto un effetto molto forte sulle 
assunzioni dei giovani. Lo abbiamo verificato controllando due campioni 
di imprese, il primo con lavoratori bloccati dalla riforma e il secondo 
no. Nel primo non c’era spazio per assumere. Si spiega anche così il 
tasso di disoccupazione giovanile del 40%».
Finora la flessibilità
 in uscita, promessa l’anno scorso dallo stesso premier Matteo Renzi, 
non è stata introdotta perché troppo costosa per i conti pubblici.
«Su
 questo abbiamo un problema con l’Unione europea. All’inizio, pagando 
più pensioni, aumenterebbe la spesa. Ma poi si recupererebbe perché 
l’assegno erogato sarebbe più basso. Il primo passo sarebbe quindi 
quello di farsi certificare dalla Commissione Ue che proposte di questo 
tipo non avrebbero effetti di lungo periodo sui conti pubblici. Oppure 
potremmo cominciare noi a farci certificare dall’Ufficio parlamentare di
 bilancio le proposte neutre sul bilancio a lungo termine per poi 
portarle in Europa».
Quando ha parlato l’ultima volta con Renzi di questo e quale è stata la reazione?
«L’ultima volta, pochi giorni fa. Credo che ci sia interesse, anche se c’è preoccupazione per i conti pubblici».
Realisticamente, di quanti anni si potrebbe anticipare il pensionamento?
«Secondo
 la nostra proposta fino a tre anni. Chiaramente con delle riduzioni 
dell’importo della pensione, commisurate al fatto che l’assegno lo si 
prenderà per più tempo».
Riduzioni di quanto?
«Intorno al 3%
 per ogni anno di anticipo, quindi al massimo circa il 9% in meno, se 
uno va in pensione tre anni prima delle regole vigenti».
Presidente,
 il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che abbiamo intervistato 
giovedì, parlando di lei ha detto: Boeri pensi a gestire l’Inps e non 
faccia politica.
«Il ministro ha detto: lui fa le proposte, il 
governo decide. Mi ci ritrovo perfettamente. Di fatto, sto dicendo che 
il governo deve decidere. La cosa che mi lascia più a disagio è quando 
il governo non decide, lasciandoci in un limbo. Poi Poletti ha anche 
detto che l’Inps può fare proposte e questo è già un passo in avanti 
rispetto a chi dice che neppure questo possiamo fare».
Come definirebbe i suoi rapporti col governo?
«Proficui,
 utili. Ma la cosa che mi piace di più è il rapporto con le altre 
amministrazioni. Persone come Raffaele Cantone (autorità 
anticorruzione), Rossella Orlandi (Agenzia entrate), Antonio Samaritani 
(Agenzia digitale), Ernesto Ruffini (Equitalia), sono tutte di grande 
valore, con cui si lavora bene».
Lei ha annunciato l’invio di 7 
milioni di «buste arancioni» ad altrettanti lavoratori con dentro la 
simulazione della pensione. Quanti scopriranno che è più bassa di quello
 che si aspettavano?
«In effetti molte persone avranno sorprese 
negative. In base ai nostri campioni, circa il 60%. Ma penso che avere 
questa informazione sia molto importante, perché consente di pianificare
 il futuro».
Non teme che le brutte sorprese inducano a consumare meno, con effetti negativi sull’economia?
«Non
 credo che gli effetti siano così negativi. Ciò che deprime i consumi è 
l’incertezza. Invece noi qui stiamo dando più informazioni».
Su un
 altro fronte, quello del lavoro, dopo che gli sgravi sulle assunzioni 
sono stati tagliati, a gennaio c’è stata una frenata dei contratti a 
tempo indeterminato.
«È presto per trarre conclusioni. Nel 2015 ci
 sono stati quasi un milione di contratti a tempo indeterminato in più. 
Un fatto importantissimo. Non solo gli sgravi, ma anche il contratto a 
tutele crescenti ha avuto un ruolo».
Che ne pensa di rendere permanente lo sgravio?
«È
 una scelta onerosa, ogni punto in meno di contributi costa 3,5 
miliardi, che se non fiscalizzati, farebbero scendere anche la 
pensione».
 
