Corriere 19.3.16
Oltre a stele e cippi, i bronzetti piccoli tesori del ceto medio
In rassegna gli oggetti dai siti di Artimino e Gonfienti
di M. Ga.
Davanti
 alla stele dei due guerrieri che s’incontrano con le lance rivolte 
verso l’alto (dunque inoffensive) e si stringono la mano salutandosi, in
 una rappresentazione che a noi posteri appare un miracolo di pace, si 
ha la sensazione d’entrare in quella scena, fin dentro la pietra, tra le
 figure finemente stilizzate, i movimenti fieri di quegli etruschi che 
da 2500 anni ci raccontano una scheggia di storia. E subito dopo, da 
quell’improbabile prospettiva, ci sembra di poter spiare il paesaggio a 
nord dell’Arno, lungo la direttrice della piana che, da Firenze, ci 
conduce a Prato e poi a Pistoia e che poi si allarga verso le colline 
sino al Mugello, alla Val di Sieve e al Montalbano.
Sono i 
sentieri degli Etruschi, vie di terra e fluviali, protagoniste di 
viaggi, profani e sacri, che questo popolo ancor oggi da noi definito 
misterioso, ci ha svelato disseminandole di «pietre miliari», tumuli 
sacri, soste di preghiere, contraddistinti da steli finemente 
rappresentate, tramandate nei millenni e conosciute come Pietre 
fiesolane. Ci sono i Guerrieri e c’è la stele di Londa, con 
quell’enigmatico personaggio seduto su un trono che con la mano destra 
sembra indicare qualcosa o comandare un evento, mentre il Cippo di San 
Tommaso (si chiama così perché murato nella chiesa di San Tommaso a 
Firenze, oggi distrutta) ci affascina con le figure, distinte in due 
lati, di un «pastore» e un leone. E ancora, ecco altre rappresentazioni,
 storie indecifrabili e per questo ancora più affascinanti.
Sono 
lì, le pietre arcaiche, 24 (la metà di quelle note sino ad oggi) in 
tutto tra cippi e stele, decorate a rilievo, monumenti funebri di 
famiglie gentilizie, certamente, ma anche «post» arcaici con i quali si 
comunicava la propria immagine, la propria esistenza. E qui ci 
resteranno sino al 30 giugno, protagoniste, insieme ad altri capolavori,
 della mostra «L’ombra degli Etruschi. Simboli di un popolo fra pianura e
 collina», un evento, perché mai si era riuscito ad allestire una 
rassegna così.
La mostra, promossa dal Comune di Prato, Mibac, 
Soprintendenza archeologica della Toscana, in collaborazione con il Polo
 museale della Toscana, ci svela un vero tesoro (per i più sconosciuto) 
custodito in quella parte dell’Etruria che da Fiesole ad Artimino 
(comune di Carmignano), passando per Gonfienti (comuni di Prato e Campi 
Bisenzio), ha disegnato una sorta di triangolo d’oro di questa civiltà.
Il
 percorso espositivo è diviso in due sezioni. Quella delle «Figure di 
pietra», con le stele e i cippi, e quella delle «Figure di bronzo». «La 
maggior parte del bronzetti votivi proviene da collezione privata, oltre
 a un inedito che arriva dagli scavi di Gonfienti e mai esposto finora —
 spiega Gabriella Poggesi, curatrice della mostra insieme a Carlotta 
Cianferoni, Paola Perazzi e Susanna Sarti, in collaborazione con Rita 
Iacopino —. Questi manufatti, destinati a un ceto medio “allargato” 
piuttosto che all’aristocrazia etrusca, venivano prodotti in loco e 
rappresentavano la dedica dell’offerente alla divinità».
C’è anche
 una curiosità. Una copia, anch’essa un piccolo capolavoro se pur della 
modernità. È l’«Offerente di Pizzidimonte», riproduzione tridimensionale
 del bronzetto rinvenuto nel Settecento ai piedi del monte Calvana 
(Prato) e conservato al British Museum. L’hanno riprodotta nel 
laboratorio Vast-Lab del polo universitario, utilizzando sofisticate 
tecnologie di scansione computerizzata. Un capolavoro che, se pur in 
riproduzione, è tornato a casa.
 
