Corriere 18.3.16
La Capitale delle destre
di Ernesto Menicucci
ROMA
C’è la destra «ufficiale», quella che rifiuta l’etichettatura di
«fascista», ma che a seconda dei casi si autodefinisce «sociale»,
«popolare», «nazionale», «gollista», «lepenista». Poi c’è l’estrema
destra, quella che una volta era «radicale», e che oggi viaggia sotto le
insegne di CasaPound, Forza Nuova o del «rinato» Movimento sociale
italiano.
Ma poi, nella variegata «galassia nera» della Capitale,
c’è un mondo fatto di sigle, luoghi fisici o virtuali, simbolismi, date
cerchiate sul calendario. Un sottobosco popolato di vecchi camerati e di
giovanissimi neppure maggiorenni, che si ritrova nelle trattorie dei
Castelli romani o nelle curve degli ultrà di Roma e Lazio, tra leader
degli Anni di piombo che non hanno ancora passato la mano e nuove leve
che vengono soprattutto dalle periferie abbandonate. Un pacchetto di
voti consistente, che trovò una forma di «saldatura» in un momento ben
preciso: la vittoria di Gianni Alemanno al Campidoglio, il 28 aprile del
2008. Quel giorno, sulla piazza, c’era di tutto. Da Alessandra
Mussolini che, quasi in lacrime, pensava agli incroci del destino («ti
rendi conto, è il 28 aprile...», cioè la data della fucilazione, ad
opera dei partigiani, del nonno Benito), alla bandiera della storica
sezione di Colle Oppio, una sorta di rudere in una delle aree
archeologiche più importanti di Roma (davanti al Colosseo, a fianco
della Domus Aurea , la reggia di Nerone), che nel Dopoguerra venne
occupata da alcuni esuli istriano-dalmati ed è diventata luogo di
ritrovo per generazioni di militanti ex Msi, poi ex An, ora in Fratelli
d’Italia.
Al Campidoglio, i sostenitori di Alemanno festeggiarono
esibendo il saluto romano e, in quell’immagine, c’era quasi il senso di
una «presa»: «Abbiamo espugnato il palazzo d’inverno», dissero i
«camerati».
Otto anni dopo, quella destra è dispersa in mille
rivoli, il grande contenitore di Alleanza nazionale non c’è più e il
risultato sono le «sette sfumature di destra» in corsa alle comunali
2016. Di questi candidati, almeno quattro si richiamano — più o meno
direttamente — alla storia missina, un tempo si diceva postfascista,
della Capitale.
I più a destra sono Simone Di Stefano, leader di
CasaPound e dei «fascisti del terzo millennio». Di Stefano ci provò
anche tre anni fa, racimolando appena 7 mila voti. Ma CasaPound, a Roma,
non è solo una forza elettorale. È diventata un «marchio», non solo con
il richiamo alla simbologia fascista, ma anche con canzoni, serate al
pub, osterie (in una, all’Esquilino, lavora uno dei capi, Gianluca
Iannone), l’attività nelle scuole affidata al Blocco studentesco dove
per un periodo ha militato anche il figlio di Alemanno. A loro,
inizialmente, si era appoggiato Matteo Salvini: CasaPound, nella
manifestazione leghista di un anno fa a piazza del Popolo, faceva da
servizio di sicurezza. Ora, però, le strade si sono divise e Di Stefano
corre da solo.
Alle Comunali, c’è anche Alfredo Iorio, leader del
«Trifoglio», gruppo che si ritrova nella vecchia sezione del Msi di via
Ottaviano, due passi da San Pietro. Da qui veniva Daniele De Santis,
«Gastone» per gli amici, che il 3 maggio 2015, prima della finale di
Coppa Italia Napoli-Fiorentina, uccise con un colpo di pistola l’ultrà
partenopeo Ciro Esposito a Tor di Quinto. Anche via Ottaviano è un luogo
simbolo. Perché qui, nel 1975, venne colpito a morte lo studente greco
Mikis Mantakas, uno dei «Cuori neri» narrati nel libro di Luca Telese.
Roma, infatti, è anche la città del «presente», le braccia tese per
ricordare i «martiri» degli Anni di piombo. Paolo Di Nella, Francesco
Cecchin, i poveri fratelli Mattei arsi vivi nel rogo di Primavalle. E,
naturalmente, la strage di Acca Larentia, 7 gennaio 1978, l’unico posto
che riesce ancora a riunire (quasi) tutte le anime postmissine o
postfasciste.
Da Giorgia Meloni a Francesco Storace, entrambi
candidati a sindaco, che ogni anno portano i fiori ai tre militanti
missini uccisi (Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti, Stefano
Recchioni), fino alle sigle più estreme. Da due anni, gli unici a
disertare sono gli ex di Avanguardia nazionale, gruppo degli Anni 70 che
si autosciolse un attimo prima di essere dichiarato fuori legge dal
governo, ancora capeggiati da Bruno Di Luia, ex stuntman , quello che al
funerale di Pino Rauti contestò la visita di Gianfranco Fini. Gli
«avanguardisti», si ritrovano a mezzanotte del 6 gennaio sotto quella
che chiamano «la stele di Mussolini», l’obelisco del Foro Italico con la
scritta «Dux», che la presidente della Camera Laura Boldrini propose di
cancellare. Risposta? Una serie di foto su Facebook , a braccia tese.