venerdì 18 marzo 2016

Corriere 18.3.16
Migrazioni
Tzvetan Todorov,
«Il problema non va posto in termini solo morali L’accoglienza ci conviene»
intervista di Stefano Montefiori

PARIGI «Sono stato migrante anche io, cinquant’anni fa, sia pure in condizioni completamente diverse. Gli immigrati in arrivo dall’Est comunista venivano accolti con piacere, tanto più se erano illegali. Una cosa abbastanza comica, il contrario di adesso», dice lo storico Tzvetan Todorov, nato in Bulgaria 77 anni fa e dal 1963 a Parigi.
Che cosa pensa dell’atteggiamento dei leader europei?
«Si stanno comportando in modo miope. L’unica che mesi fa ha avuto uno scatto e si è mostrata diversa dagli altri è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel».
Perché, secondo lei?
«Questo è il fondo della questione. Merkel ha promesso di accogliere i migranti non perché aveva una morale più pura degli altri, perché era più generosa o voleva farsi perdonare le colpe passate del popolo tedesco: si è semplicemente dimostrata più lucida. Ha pensato all’avvenire del suo Paese a lungo termine, e ha potuto permetterselo perché era una leader popolare, forte. Ha capito che, alla distanza, queste persone — spesso istruite, dinamiche, vogliose di recuperare delle condizioni di vita decenti — faranno del bene alle nostre economie e alle nostre società. La diversità è un fattore positivo».
Ma poi ci sono stati i fatti di Colonia, il clima è cambiato, anche la Germania sembra avere mutato posizione e negozia un accordo con la Turchia che va in direzione opposta.
«È vero, prevale di nuovo il sentimento di paura. Ed è poco credibile mercanteggiare con la Turchia, proporre lo scambio “voi prendete i migranti e noi vi facciamo entrare nell’Unione Europea”. Anche se non bisogna essere troppo severi con i turchi, che ospitano un numero considerevole di rifugiati siriani».
L’Europa ha sfiorato il disastro con la crisi della Grecia, è divisa sulla politica economica, ora sembra abdicare anche ai suoi valori e non si vergogna dell’egoismo. È il momento della crisi ideale?
«Non dovremmo fondare la nostra politica su considerazioni puramente morali. Ci piace pensare che siamo eredi di tradizioni di generosità e che quindi dovremmo aprire le porte. Messa così, sembra che i migranti siano un peso ma noi abbiamo un cuore grande. Invece le cose non stanno in questi termini. Dovremmo accoglierli perché è nel nostro interesse. L’importanza del gesto iniziale di Merkel resta, dimostra che almeno lei ha capito».
L’Unione Europea rischia, sui migranti, a tre mesi dal referendum britannico, un crollo senza ritorno?
«È vero che l’Europa oggi non si mostra all’altezza della situazione, ma credo che le ragioni obiettive dell’appartenenza all’Unione siano molto profonde. Non perdo tutte le speranze. Sono dispiaciuto per la freddezza attuale ma credo che una maggiore integrazione finirà con l’imporsi, comunque. Non so in che forma, magari attorno a un nocciolo duro di Paesi capaci di costituire un avanguardia».
Crede che le ragioni profonde avranno ragione dei populismi antieuropei?
«Lo spero. Oggi i leader europei sono paralizzati dalla paura di un voto xenofobo, le scadenze elettorali fanno sì che i governi abbiano paura di prendere le decisioni più giuste. Ma io confido che arriveranno delle congiunture più favorevoli, dei leader capaci di pensare al futuro dei loro Paesi e non alla prospettiva di qualche mese».