Corriere 11.3.16
Dem in bilico però la vera incognita è l’economia
di Massimo Franco
Nonostante
le convulsioni nel Pd, il futuro del governo non dipende solo dal loro
esito. Le elezioni amministrative di giugno possono logorare
ulteriormente Matteo Renzi ma non travolgerlo. Il premier sa bene che il
«partito» più insidioso col quale deve confrontarsi è quello dei conti
economici. Il suo ottimismo ostentato, che i detrattori definiscono
d’ufficio e ingannevole, può convincere l’elettorato solo se si
intravede una qualche ripresa. La mossa compiuta ieri dalla Banca
centrale europea serve a dargli una boccata d’ossigeno.
Il
commento stizzito del Movimento 5 Stelle nei confronti del presidente
della Bce Mario Draghi era rivelatore. Per una formazione che scommette
sul collasso del sistema, l’abbassamento dei tassi di interesse è
apparso un aiuto oggettivo anche al governo italiano. È il tentativo di
combattere con maggiore determinazione i rischi di deflazione; e offrire
un’occasione in più alle banche per investire e favorire una ripresa
anemica. Ma la reazione per il momento altalenante delle Borse
riconsegna una situazione gonfia di incognite.
Fa temere che il
nostro Paese sia condannato a galleggiare ancora su percentuali di
crescita scoraggianti. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è
stato attaccato in modo frontale dalle opposizioni dopo la lettera della
Commissione europea sui nostri conti. «È il De profundis per Matteo
Renzi e Padoan», ha detto il capogruppo alla Camera di FI, Renato
Brunetta. Si è agganciato all’ammissione del ministro Giuliano Poletti,
secondo il quale senza crescita è impossibile avere nuova occupazione».
Il capo del governo non esita a liquidare i critici cercando di
accreditare la sicurezza di sempre.
Eppure, il modo perentorio e
ripetitivo col quale intima di «smetterla di lamentarci, l’Italia deve
tornare ad essere guida in una Europa smarrita», lascia un po’
perplessi. E non solo perché è difficile definire il nostro Paese alla
guida dell’Ue, anche in passato. Il problema è che queste affermazioni
sembrano usate da Renzi soprattutto in chiave interna; di più, di
partito, per opporre il premier «che fa», nella sua narrativa, a quanti
nel Pd sarebbero capaci solo di fare polemiche e di lamentarsi. Ma un
simile atteggiamento non promette nulla di buono, in vista del voto. Le
spinte centrifughe si stanno accentuando, tra i dem.
E non solo
per le irregolarità alle primarie. L’ostilità a Renzi e ai suoi
candidati lascia presagire liste alternative «di sinistra» sia a Roma
che a Napoli; e aspiranti sindaci che, pur restando tali, si prefiggono
di togliere voti al Pd puntando sullo scontento diffuso. Significherebbe
una scissione di fatto, non decisa formalmente ma della quale gli
organi nazionali hanno già annunciato le conseguenze automatiche:
l’espulsione dal partito. Per una forza che vuole unire l’Italia ed è il
perno del governo, non sarebbe un bel viatico.