giovedì 10 marzo 2016

Corriere 10.3.16
Una battaglia di 120 anni fa. La scomoda storia di Adua
risponde Sergio Romano

Martedì, 1° marzo 2016, è stato il 120° anniversario della battaglia di Adua. Anche se è stata una guerra infelice per l’Italia, perché non se ne parla quasi mai? Nemmeno vengono ricordati i caduti Italiani. Quanto sanno gli italiani di questa guerra?
Eshetu Kifle (cittadino etiope)

Caro Eshetu Kifle,
Sul campo di Abba Garima, nella piana di Adua, i caduti italiani, alla fine della battaglia, furono 5240 soldati, 254 ufficiali e due generali, mentre i prigionieri furono 2300, di cui 800 ascari che furono puniti dai vincitori con il taglio della mano destra e del piede sinistro. Altre potenze coloniali europee subirono umilianti sconfitte in Africa e in Asia (gli inglesi a Isandlwana contro gli zulu nel gennaio del 1879, per esempio), ma quella di Adua provocò grandi manifestazioni popolari contro il governo, soprattutto a Milano, e le dimissioni di Francesco Crispi, il presidente del Consiglio a cui l’opinione pubblica attribuiva la responsabilità di una politica coloniale troppo ambiziosa e costosa per le reali possibilità del Paese. Otto anni prima, nel 1888, Crispi (anche allora presidente del Consiglio) credeva di avere fatto dell’Etiopia un protettorato italiano. Con il trattato firmato a Uccialli nel maggio di quell’anno, l’Italia riconosceva il nuovo imperatore dell’Etiopia, Menelik, e otteneva contemporaneamente che all’Italia venisse affidata la rappresentanza internazionale del Paese. Ma il governo etiopico, di lì a poco, sostenne che la versione in lingua italiana non corrispondeva al testo amarico e rivendicò la completa sovranità del suo Paese. Vi furono accese discussioni, ma anche scontri sul terreno, non sempre fortunati per le forze italiane, e l’evento decisivo, in questo continuo degrado delle relazioni italo-etiopiche, fu per l’appunto la battaglia del 1° marzo 1896.
Da allora Adua è il più scomodo dei nostri ricordi coloniali. Per coloro che si opponevano alla politica di Crispi e, più generalmente, per tutta la sinistra italiana, la battaglia è sempre stata la prova di una politica sbagliata, sul piano economico e culturale. Negli ambienti nazionalisti, sin dagli anni che precedono la Grande guerra, Adua fu invece l’offesa da riscattare, la macchia da cancellare. Vendicare i morti di Abba Garima fu la parola d’ordine del movimento nazionalista di Luigi Federzoni e più tardi, dopo la fusione tra nazionalisti e fascisti, del Pnf (partito nazionale fascista). Per una larga parte della società italiana, nel 1935, la sconfitta di Adua bastava a giustificare la «guerra d’Etiopia».
Sono queste, caro Eshetu Kifle, le ragioni perché Adua, nella memoria politica nazionale, è diventata un ricordo imbarazzante. Non dovrebbe essere impossibile ricordarla invece per una istituzione accademica che deve a quella battaglia la sua esistenza. Penso all’Università Bocconi di Milano, fondata nel 1902 da un imprenditore, Ferdinando Bocconi, in memoria del figlio Luigi, morto a Adua sei anni prima.