martedì 9 febbraio 2016

Repubblica 9.2.16
Le tre gambe di una crisi
di Fabio Bogo

MARIO Draghi era stato preveggente quando, la scorsa settimana, aveva parlato di ripresa moderata con rischi al ribasso per l’economia mondiale e di forze globali che concorrono a tenere bassa l’inflazione. Nella giornata di ieri quelle forze sono tornate a muoversi in maniera coordinata.
ALIMENTANDO così i timori di una spirale disinflazione-deflazione. Insomma lo spettro di una nuova recessione globale. Le quotazioni del petrolio continuano a rimanere ostaggio di uno scontro geopolitico che non accenna a finire. L’Arabia Saudita si rifiuta di tagliare la produzione ed il greggio rimane così sotto i 30 dollari al barile. Nella micidiale roulette russa innescata da Riad qualcuno dovrà finire al tappeto. In ginocchio è già la Russia, che vede la sua economia entrare in recessione a causa delle sanzioni e del prosciugarsi delle entrate finanziarie. Oltreoceano falliscono i piccoli produttori americani di shale oil, mettendo in difficoltà le banche Usa che li hanno finanziati. Ma il rovescio della medaglia è che sono in difficoltà anche i fondi sovrani dei Paesi produttori, la cui liquidità comincia a ridursi: persino i sauditi sono stati costretti a varare un programma interno di tagli alla spesa. La spirale negativa del petrolio trova linfa infine anche dal forte rallentamento cinese, la cui economia cresce a ritmi meno sostenuti di prima ed è di conseguenza meno energivora.
Ma puntare solo sul petrolio come causa della crisi nasconderebbe una scomoda verità: parte delle turbolenze ha origine nella finanza americana ed in quella europea. La Federal Reserve ha forse sbagliato i tempi dell’intervento con il quale, rialzando i tassi lo scorso dicembre, ha sancito dopo un decennio la fine della politica monetaria accomodante, dando per acquisita la ripresa economica. Da allora troppi parametri sono cambiati, e adesso gli analisti ritengono che il calendario di graduali aumenti dei tassi previsto inizialmente possa rallentare. La Yellen potrebbe richiudere la porta, in sostanza, ma forse i buoi sono scappati.
In Europa le cose non vanno meglio. La Bce continua con la sua politica monetaria di sostegno, ma i mercati restano diffidenti di fronte alle assicurazioni che la crisi non ha radici nel vecchio continente. Le vendite, come di consueto, trovano motivazioni e colpiscono gli anelli più deboli, e su questo fronte l’Italia ed il suo sistema creditizio stanno pagando da tempo un prezzo molto pesante, che si sta trasferendo anche sui titoli di Stato. Masse di denaro si spostano sui bund tedeschi, pure avendo la Germania tassi di interesse meno appetibili. Cercano riparo temporaneo in porti sicuri, ma è sicura la Germania? La più grande economia del continente europeo ha in realtà in casa una bolla con un potenziale esplosivo, che riguarda, ancora una volta, le banche. Ieri a Francoforte sono state punite pesantemente Deutsche Bank e Commerzbank, due campioni nazionali del credito. Gli operatori vogliono vedere con chiarezza cosa c’è nei bilanci: Deutsche ha in pancia 31 miliardi di titoli non valutabili dal mercato, che sono potenzialmente “tossici”: rappresentano la metà del capitale della banca. Commerzbank nelle stesse condizioni ha il 24 per cento del suo patrimonio. È fisiologico che i mercati penalizzino le economie più deboli. È allarmante se l’accanimento riguarda quelle più solide. Con il bail in si sono fissati principi improntati alla trasparenza. È importante, per le banche, che la applichino anche quelli che di solito siedono sul tavolo dei giudici.