martedì 9 febbraio 2016

Repubblica 9.2.16
Ultimo appello per la politica
di Andrea Bonanni

SE AVESSERO avuto bisogno di un altoparlante per la loro proposta di creare un governo dell’economia europeo, i presidenti delle banche centrali tedesca e francese non avrebbero potuto sceglierne uno più terribile dell’ennesima tempesta finanziaria che ieri si è abbattuta sulla Ue affondando le borse.
UNA TEMPESTA che ha per epicentro, appunto, il settore bancario. L’Europa, dicono Jens Weidmann e François Villeroy de Galhau, questa volta in sintonia con Mario Draghi, non è ancora fuori dalla crisi cominciata otto anni fa. E non ne uscirà fino a che non si darà un governo unico dell’economia, con un ministro delle Finanze unico e un Parlamento dell’eurozona in grado di controllarlo. L’elenco dei mali che affliggono «la credibilità della Ue» è lungo, ma semplice. Bassa capacità di crescita, alta disoccupazione, finanze pubbliche in larga parte non ancora risanate, un sistema bancario in sofferenza e squilibri eccessivi tra le varie dinamiche nazionali. I due banchieri parlano dell’eurozona, ma sembra che stiano parlando specificamente dell’Italia e delle sue debolezze. E forse l’equivoco non è poi così casuale visto che l’Italia, con il suo debito, è da sempre il vero convitato di pietra che incombe sui destini dell’unione monetaria.
Come tutti i grandi malati, questa Europa che non riesce a guarire, nonostante le massicce dosi di austerità che le sono state somministrate, ha una carenza immunitaria e un organo particolarmente colpito, dove si concentra l’infezione. L’organo colpito è il sistema bancario, gonfiato da una indigestione di titoli di stato e incapace di finanziare l’economia reale per farla ripartite malgrado gli straordinari aiuti che gli sono arrivati dalla Bce. La carenza immunitaria è un sistema politico che spesso, a livello nazionale, non riesce a varare le riforme strutturali con la radicalità e la tempestività necessaria. E sempre, a livello europeo, non riesce a prendere le decisioni ovvie che potrebbero porre rimedio alla situazione. Anzi, come nel caso del sistema europeo di garanzia sulle banche evocato recentemente da Draghi nel suo discorso di Francoforte, non riesce neppure a dare corso a decisioni già prese.
Più ancora della paralisi del sistema bancario, oggi è proprio la paralisi della politica europea a minare la credibilità dell’eurozona. E in effetti, a guardar bene, l’appello di Weidmann e de Galhau è in realtà un grido di aiuto e una ammissione di impotenza. Come Draghi va ripetendo da anni, il sistema delle banche centrali non può nè potrà mai, da solo, porre rimedio alle distorsioni che frenano l’uscita dell’Europa dalla crisi. Senza una vera controparte politica, la Bce può solo somministrare palliativi per evitare che la crisi precipiti. Lo ha fatto, con tutta la potenza dei mezzi a sua disposizione, con le Omt (Outright monetary transactions) e con il Qe (Quantitative easing), portando l’eurozona fuori dalla recessione, riducendo lo spread tra i titoli di stato e impedendo il tracollo del sistema bancario. Più in là di questo, Francoforte non può andare. Per rilanciare davvero la crescita, consolidare davvero i bilanci pubblici, mettere davvero in sicurezza le banche restituendole alla loro funzione di motore dell’economia, deve intervenire la politica. E deve intervenire con scelte coraggiose che molti governi nazionali, finora, si sono rivelati incapaci di compiere.
Il senso nascosto dell’appello dei due governatori è proprio questo. Se la politica, ancora frammentata a livello nazionale e incalzata dall’onda del populismo dilagante, non è in grado di assolvere al proprio compito, l’ultima speranza è quella di trasferire il potere decisionale a livello europeo. In questo modo la Bce potrebbe trovare l’interlocutore politico che ha sempre cercato e non ha mai avuto. E forse l’Europa potrebbe salvarsi accettando una gigantesca cessione di sovranità nazionale. Che non nascerebbe, come avvenne sessant’anni fa, dalla lungimiranza dei governi, ma dal loro plateale fallimento.