Repubblica 8.2.16
Quanto pesa la Chinatown milanese
FRANCO VANNI
OLTRE 6MILA AZIENDE IN CITTÀ, RADDOPPIATE IN 6 ANNI. E ORA ALZANO LA VOCE
MILANO.
Cinquemila,
per la Camera di Commercio. Seimilacinquecento, secondo la stima della
stessa comunità cinese. Tante sono le imprese individuali a Milano con
titolare nato in Cina. La differenza fra i due dati si spiega anche con i
casi in cui la licenza rimane intestata al vecchio titolare, spesso
italiano, ma alla cassa sta il nuovo gestore. È questa la fotografia, il
giorno dopo le polemiche per l’esordio al voto della comunità cinese.
«In città i cinesi sono 25mila, un’impresa ogni quattro persone - dice
Angelo Ou, imprenditore di 68 anni, figlio di uno dei primi arrivati
negli anni Trenta - veniamo dalle regioni di Wenzhou e Qingtian. È il
vostro Triveneto. Non ci piace lavorare sotto padrone».
Delle
5.002 imprese cinesi censite in città, il 30,9 per cento è attivo nel
commercio, il 25,7 nella ristorazione. Il 31, 8 percento dei cinesi vive
a Chinatown, intorno a via Paolo Sarpi. Molti nelle periferie a Nord :
Villapizzone, Affori, Quarto Oggiaro. «Non esiste più un quartiere
cinese – dice Alessio Menonna, ricercatore di Ismu – sono ovunque ci sia
sofferenza commerciale e deprezzamento degli immobili».
La
crescita del numero di aziende cinesi rispetto al 2014 è del 7,2 per
cento, 334 nuove società. E dal 2009 sono raddoppiate. «Negli anni della
crisi, la comunità cinese è la sola che è cresciuta. Lo dicono gli
indicatori, dal reddito alle case di proprietà», dice Gian Carlo
Blangiardo, professore di Demografia in Bicocca. E non è l’unica
tendenza: aumentano le donne imprenditrici, i dipendenti lavorano di più
(68 ore a settimana) e guadagnano 1.610 euro lordi al mese.
Intervistati dalla fondazione Ismu, solo il 20 per cento dei cinesi a
Milano dice di capire bene l’italiano e il 9 per cento di poterlo
leggere. «Ma la novità degli ultimi anni non è il numero di imprese.
Siamo noi - dice Francesco Wu, 34 anni, presidente dell’associazione dei
giovani imprenditori cinesi Uniic – abbiamo messo d’accordo le 14
associazioni di commercianti cinesi in città e abbiamo insegnato ai
vecchi una cosa: siamo in Italia non in Cina, se vuoi cambiare le cose
puoi farlo. Devi farti sentire. Queste primarie sono state l’occasione».
Figli più integrati e istruiti dei propri padri, che hanno mandato i
genitori a votare. Per Giuseppe Sala. «La comunità chiede al Comune
poche cose semplici, che gli assessori Majorino e Balzani hanno
dimostrato di non volere - dice ancora Angelo Ou -. Meno lacci al
commercio, un rappresentante nelle istituzioni e l’autorizzazione a
creare alcune grandi cose». La più grande: una international school
cinese per 640 studenti. Un progetto fermo da tempo.