Repubblica 7.2.16
Siamo tutti Don Chisciotte
Cervantes è morto quattrocento anni fa, il suo eroe invece è vivo e si nasconde nella nostra parte migliore
È
colui che, lancia in resta, ogni giorno ha una nuova battaglia da
perdere trasformando il quotidiano in epica e crogiolandosi
nell’impossibile
Cavalca al confine tra visionarietà e illusione. E
spesso trascina con sé nel fango uno scudiero che gli si mette appresso
per fede
di Gabriele Romagnoli
Miguel Cervantes è
morto quattrocento anni fa, ma Don Chisciotte, la sua creatura, è vivo e
lotta insieme a noi, o contro di noi. Lo incontriamo ogni giorno: nei
tg che parlano di politica, nelle cronache sportive, in tribunale, in
chiesa e, inevitabilmente, allo specchio. È quello lancia in resta, ogni
giorno una nuova battaglia da perdere. Sa definirsi solo attraverso gli
avversari, ammassandone quantità e qualità con lussuria da
combattimento. Trasforma il quotidiano in epica. Si crogiola
nell’impossibile e ambisce, più di ogni altra cosa, alla sconfitta,
nella cui nobiltà si riconosce e, seppur per poco, riposa. Cavalca al
confine tra visionarietà (prodromo di grandezza) e illusione (sintomo di
miseria). Trascina con sé nel fango (che proclama dorato) uno scudiero,
anche più. Questo gli si mette appresso per fede, ci resta per pietà e,
infine, perché non gli resta altra vita che all’ombra di quel sole
spento: almeno di follia bruciò. Don Chisciotte non era un personaggio,
ma un prototipo. Ha generato una filiera, gli epigoni sono qui, anche se
nessun Cervantes li racconta perché in letteratura vale solo la
matrice, il resto sono copie, imitazioni, realtà.
In politica
esistono molti esempi, due tra tutti: uno in Italia e l’altro negli
Stati Uniti. Il primo è Marco Pannella. Da decenni, armato di sigaretta,
si batte per tutto e tutti. Protesta, digiuna, s’imbavaglia. Scioglie e
ricostituisce. Battezza e scomunica. Mai che acconsenta o riconosca. Se
all’inizio le sue cause erano chiare e condivise, con il tempo il fumo
si è alzato anche lì e dai gloriosi referendum che hanno portato a vere
conquiste nel campo dei diritti civili si è passati a terreni più
friabili, sui quali era difficile seguirlo. È valso anche per gli
scudieri che, a differenza di Don Chisciotte, si è divorato uno a uno,
disconoscendoli, trasformandoli in nemici, attaccandoli, in attesa del
duello finale con la propria ombra.
Il secondo, il fratello
americano, è Ralph Nader, quello che si candidava alla Casa bianca per
perdere e far perdere. Mister due per cento, felice e contento. Il
leader della nicchia e guai se si allarga. Se avessero un inno sarebbe
Figlia, la canzone di Roberto Vecchioni che dice: «Vincere significa
accettare e questo, lo dovessi mai fare, tu questo non me lo perdonare».
Nudi
e senza meta. Forse un po’ profeti di questo tempo rovesciato in cui
tra i possibili candidati alla presidenza degli Stati Uniti l’eventuale
indipendente (Michael Bloomberg) è un mulino a vento e il vero Don
Chisciotte è quel democratico (Bernie Sanders) che pur di assicurarsi la
sconfitta si dichiara socialista, come uno che ai controlli
dell’aeroporto Kennedy, nell’apposito modulo, alla domanda «Intende
svolgere attività terroristiche?» rispondesse barrando la casella del
sì.
C’era un Don Chisciotte femmina davanti ai cancelli della Casa
Bianca. C’è stata per oltre trent’anni: dal 1981 al gennaio scorso. Si
chiamava Concepcion Picciotto, detta Connie. Le avevano portato via la
figlia adottiva, almeno così sosteneva. E allora, «in nome di tutti i
bimbi del mondo », protestava chiedendo il disarmo nucleare. Con un
casco in testa, non ha mai mancato un giorno. Altri si sono uniti: il
suo scudiero, tale William Thomas, morì dopo 25 anni di avanti e
indietro sul marciapiede. Lei continuò. Alla sua morte un’agenzia di
stampa ha scritto: «Molti la consideravano un’eroina, altri dubitavano
della sua sanità mentale. La verità probabilmente sta nel mezzo».
Esattamente dove cavalca Don Chisciotte.
Se si fosse fermato su
una panchina avrebbe assunto le sembianze di Zdenek Zeman e si sarebbe
lanciato contro l’invincibile, svelato magagne. Avrebbe comminato uno
schema di gioco splendente e perdente, si sarebbe beato del 5 a 4, in
favore o a sfavore, senza distinguere. Esattamente quel che ha fatto il
boemo, senza mai cambiare una virgola di sé, mai adattarsi, continuando
sempre ad attaccare, con o senza palla. Accusando, accusando. Spesso a
ragione, ma come si faceva poi a distinguere il torto, l’infondatezza?
Non
è un caso che un suo assist sia stato raccolto dal magistrato Raffele
Guariniello della procura di Torino, il Don Chisciotte dei procedimenti
penali. Dopo essersi dimesso, nel dicembre 2015, ha annunciato
“donchisciottescamente” di voler fare l’avvocato «al fianco dei più
deboli ». Di lui Wikipedia sobriamente scrive: «È spesso comparso sui
giornali per eclatanti inchieste». Talora finite con archiviazione,
prescrizione o trasferimento del fascicolo, ma lui non si è mai arreso:
era già sul prossimo caso, su una nuova prima pagina. I suoi mulini a
vento sono stati: la Fiat, le farmacie del calcio, la Sanità, il metodo
Di Bella, il metodo Vannoni, la Thyssen, l’Eternit. Alcuni erano veri
draghi, qualcuno è riuscito perfino a infilzarlo. Con lo stesso spirito
con cui Erin Brokovich, legale dilettante, impersonata sullo schermo da
Julia Roberts, infilzò la multinazionale che contaminava con il cromo le
acque di una cittadina americana e da allora si dedica a questa
battaglia ovunque nel mondo. È uno dei pochi casi in cui Don Chisciotte
vince. Un altro è quello di Muhammad Yunus, premio Nobelper la pace nel
2006 che ha osato sfidare addirittura il sistema bancario internazionale
con l’idea del microcredito (manco una lancia, una forchetta). Poi
l’hanno trascinato nella polvere ma questo accadde anche al paladino di
Cervantes.
Se guardiamo la cronaca recentissima, quella della
settimana appena trascorsa, non sarà difficile individuare i due sommi
discendenti del cavaliere spagnolo. Uno è Julian Assange, anarchico,
libertario, hacker in nome della libertà d’informazione, della
trasparenza di tutti i poteri e rifugiato politico, confinato nel
perimetro della sua esistenza digitale. L’altro è papa Francesco, il
parroco che vuol cambiare la Chiesa di Roma, moralizzare chi parla in
suo nome e per conto, diffondere nel mondo, addirittura, la
misericordia.
Esempio alto, ma strada facendo non c’è lettore che
non si sia identificato, per un tratto, una causa, una romantica
disperazione, in Don Chisciotte. Incluso qualche Sancho Panza e molti,
moltissimi mulini a vento.