Il Sole Domenica 7.2.16
La tragedia dell’Illuminismo
La Rivoluzione francese fu la fine dell’età dei Lumi, non la sua consacrazione
Robespierre ne eliminò gli uomini più lungimiranti e moderati, come Condorcet
di Vincenzo Ferrone
Che
libro strano questo di Jonathan Israel sulla Rivoluzione francese. Con
le sue quasi mille pagine esso appare tanto affascinante e provocatorio
quanto discutibile – se non inaccettabile, a mio parere – nella sua tesi
di fondo che «l’Illuminismo radicale fu incontrovertibilmente l’unica
“grande” causa della Rivoluzione francese» (pag. 790). Non v’è dubbio
che Israel figuri in prima fila tra quanti hanno alimentato l’impetuoso e
inevitabile rinnovamento della storiografia internazionale dopo il 1989
e la liquidazione dell’utopia comunista. Un rinnovamento che ha avuto
il suo cuore pulsante soprattutto nel mondo di lingua inglese, e di cui,
curiosamente, le motivazioni ideologiche e le forme che esso sta
assumendo sono passate sotto silenzio in Europa. Spetta infatti a questo
autorevole professore dell’ Institute of Advanced Studies di Princeton
il merito di aver riportato la questione dell’Illuminismo al centro del
dibattito storiografico mondiale, facendone un tema che per interesse e
ricchezza di risultati è secondo solo all’ormai affollatissimo settore
di studi della Global History. In tre monumentali volumi, Israel ha dato
vita a una suggestiva e potente narrazione unitaria dell’Illuminismo
come da tempo non si era più vista. Lo ha fatto con una sorta di ritorno
al passato, coniugando polemicamente storia e filosofia contro la
storia sociale, la storia economica di matrice marxista, la nascente
storia culturale e quel poco che ancora restava in circolazione degli
epigoni delle «Annales».
Israel reinterpreta i Lumi come la
concreta realizzazione nel corso del Settecento di un sistema
filosofico, di una coerente e specifica ideologia spinoziana fondata sul
monismo razionale e materialistico e sull’ateismo di Spinoza, e nutrita
della circolazione e della diffusione di un sistema di idee eversive,
repubblicane e democratiche che aveva i suoi nemici naturali nelle
monarchie e le religioni. In questa prospettiva Israel divide, con
tassonomica inflessibilità, gli illuministi buoni da quelli cattivi, gli
atei dai deisti, i radicali dai moderati. Al Radical Enlightenment
(titolo del suo primo volume sul tema, pubblicato nel 2001)
rappresentato soprattutto da Helvetius, Diderot, d’Holbach, Condorcet –
atei, anticlericali, fautori del repubblicanesimo, dei diritti umani,
della democrazia rappresentativa – egli oppone una sorta di Illuminismo
moderato, incarnato da Locke, Hume, Montesquieu, Voltaire, Turgot,
Rousseau, fautori della religione naturale e del provvidenzialismo
deista e “colpevoli” di posizioni politicamente conservatrici come
l’assolutismo monarchico o il costituzionalismo inglese, o pericolose
come la democrazia diretta celebrata dal grande ginevrino, padre
spirituale di Robespierre e del Terrore. Inutile dire che questa rigida
rappresentazione di un Illuminismo radicale che vive di un legame
organico tra il materialismo ateo e il radicalismo politico è stata
duramente e giustamente contestata dalla critica. Per rimanere in
Italia, come si fa a considerare un illuminista radicale quel Gaetano
Filangieri che univa il costituzionalismo repubblicano e l’amore per i
diritti dell’uomo alla militanza massonica e al credo deista? E che dire
di Vico, addirittura segnalato come repubblicano e materialista?
Indomabile,
impermeabile a ogni critica, Israel ora non esita a entrare con il suo
teorema riduzionista nel terreno incandescente della Rivoluzione,
rilanciando la vexata quaestio del nesso tra quest’ultima e i Lumi,
nesso antico e tutto teleologico da tempo abbandonato dagli specialisti.
Lo fa accusando tutti i protagonisti di un’ormai secolare storiografia –
da Mathiez a Lefebvre a Soboul, sino a Furet – di non avere capito che
la soluzione dell’enigma delle origini del 1789 non stava nello studio
dei prezzi, o delle sollevazioni contadine o delle dinamiche di piazza,
ma soprattutto se non esclusivamente nella storia intellettuale, nella
potente «rivoluzione della mente» (per usare una sua espressione)
prodotta dagli illuministi radicali. Inutile dire che l’Hegel della
Fenomenologia dello spirito avrebbe sorriso vedendo finalmente
confermata la sua tesi della Rivoluzione come frutto del pensiero; non
lo hanno fatto, invece, gli studiosi americani, che hanno subito reagito
alla provocazione con recensioni al curaro.
Israel ripercorre la
Rivoluzione reinterpretandone i momenti cruciali, naturalmente a modo
suo. Prende sul serio le tesi complottarde di Barruel e le accuse di
Burke agli illuministi quali padri della Rivoluzione, salvo tacciarle di
genericità per non aver distinto tra illuministi radicali e moderati.
Ai primi, pochi, ma padroni dell’opinione pubblica attraverso i
giornali, guidati da Mirabeau, Sieyès, Brissot, Condorcet, Israel
attribuisce la leadership rivoluzionaria sino al 1793. Sono loro i veri
fautori dei diritti dell’uomo (non i deisti alla Voltaire o alla
Rousseau), i padri delle leggi per l’eversione dell’aristocrazia, la
separazione tra Chiesa e Stato, l’eguaglianza di fronte alla legge,
l’abrogazione della monarchia, l’abolizione della schiavitù,
l’introduzione del divorzio. Nei convulsi dibattiti sulla prima
costituzione democratica del mondo, nel 1793, i radicali si scontrarono
con gli illuministi moderati ispirati al modello britannico, e seguaci
di Montesquieu, Voltaire, Hume; al tempo stesso ebbero contro da un lato
i robespierristi, dall’altro i fautori del Contro-illuminismo ispirati
ai valori dell’Antico Regime. Essi si batterono a favore dei diritti
dell’uomo, poi brutalmente sospesi nel 1793-94 e progressivamente
abbandonati tra il 1799 e il 1804, anno del ripristino della schiavitù
da parte di Napoleone.
La narrazione, va detto, è avvincente. E
tuttavia, a un’analisi attenta, essa risulta tanto suggestiva quando
artificiosa. Israel sopravvaluta l’omogeneità, l’identità e quindi i
successi del fronte radicale. Condorcet, il grande eroe del libro,
presunto capo degli illuministi radicali, non era certo un ateo
militante ma bensì un massone deista, lockiano e ammiratore di Voltaire e
di Rousseau. Così come deista era Thomas Paine, l’autore dei Rights of
Man che fondava i diritti nella religione naturale. Del resto persino un
indiscutibile materialista come d’Holbach preferiva parlare di doveri
anziché di diritti dell’uomo, rendendo evidente come radicalismo
filosofico e progressismo politico non andassero necessariamente
accoppiati. La stessa Chiesa temeva e denunciava, più che gli atei
materialisti, i deisti riformatori alla Voltaire; per Pio VI la
Costituzione civile del clero era eretica e scismatica, non figlia
dell’ateismo. Si potrebbe continuare, ma sarebbe ingeneroso. Ad Israel
spetta infatti il grande merito di aver raccontato per la prima volta
quella che potremmo definire la tragedia dell’Illuminismo, la sua fine
nel sangue al di là delle ipotizzate distinzioni al suo interno. Quel
mondo, in tutte le sue componenti, fu infatti la prima vittima del
Terrore, dell’odio di Marat e Robespierre e del cosiddetto «populismo
autoritario» dei montagnardi per gli intellettuali, gli accademici e le
élite. Giustiziati i massimi rappresentati dell’Illuminismo, fatti
morire in carcere personaggi come Condorcet, la ghigliottina non
risparmiò neppure le prime coraggiose femministe, teoriche dei diritti
della donna, Olympe de Gouges e Madame Roland. Il racconto di questa
tragedia appare in queste pagine indignate una risposta forte anche a
chi ha sempre voluto trasformare le vittime in carnefici invocando le
presunte origini illuministiche del Terrore e condannando in blocco una
Rivoluzione nata nel segno dei diritti dell’uomo e terminata con la
dittatura di Napoleone, le Restaurazioni dell’Antico regime e la nascita
dei primi egoismi nazionali. Ma soprattutto queste pagine aprono di
fatto una nuova stagione di studi sull’eredità dell’Illuminismo nella
storia dell’Occidente: toccherà indagare, in futuro, sui cosiddetti
Risorgimenti nazionali del XIX secolo, cui è estraneo il concetto di
diritti dell’uomo, per comprendere davvero da dove veniamo. Di questo,
al di là dei dissensi, dobbiamo essere grati alla fatica di Jonathan
Israel .
Jonathan Israel, La Rivoluzione francese. Una storia intellettuale dai Diritti dell’uomo a Il
Robespierre, traduzione di Palma Di Nunno e Marco Nani, Einaudi, Torino, pagg. 960, € 42