domenica 7 febbraio 2016

Repubblica 7.2.16
La doppia anima dei Cinque Stelle
di Piero Ignazi

IL M5S continua a godere di un notevole consenso. Anche l’ultima rilevazione pubblicata su L’Espresso lo conferma: il partito si colloca saldamente al secondo posto pronto a sfidare il Pd nel ballottaggio. Ma il tempo non lavora per i grillini. L’improvviso colpo di freno di Beppe Grillo sulla stepchild adoption evidenzia, una volta di più, le contraddizioni che attraversano il partito.
PER molto tempo il M5S ha galleggiato, evitando di prendere posizione su molti temi scottanti e riuscendo a spostare l’attenzione su questioni ad esso più congeniali — e meno conflittuali al suo interno. La politica però prende le sue rivincite: impone delle scelte anche quando non si vorrebbero fare.
Nel dibattito sulla legge Cirinnà il M5S era nella posizione migliore possibile, fino a ieri. Dimostrava compattezza e convinzione nell’approvare il testo così com’era, senza modifiche, lasciando tutte le difficoltà al Pd. Aveva in mano una potentissima arma di pressione nei confronti del partito di maggioranza. Grillo gliel’ha spuntata. Con il suo invito alla libertà di coscienza sconfessa la posizione assunta a grande maggioranza dai gruppi parlamentari e delegittima d’un colpo il direttorio. Non solo: mette a rischio la legge, ridando spazio ad Alfano e ai cattolici dem. Cosa c’è dietro questa mossa? Una doppia contraddizione: quella “personale” di Grillo stesso, e quella del M5S.
Ripartiamo dall’inizio, dalle radici del successo (perdurante) del partito. Alla base c’è un inedito mix tra alterità al sistema e indifferenza ideologica. I 5Stelle si sono presentati come una forza rivoluzionaria, che voleva cambiare tutto e “conquistare il cielo” come si diceva al tempo dei movimenti collettivi; ma certamente non sono né violenti né fautori di ideologie totalizzanti e radicali. Sono degli indignati cresciuti all’ombra di una visione ecologista e post-industriale, individualista e comunitarista allo stesso tempo.
Inoltre, contrariamente a tante interpretazioni, sono prevalentemente orientati a sinistra. Il loro programma elettorale del 2013 è stato giudicato dal Comparative Manifesto Project, un autorevole gruppo di ricerca internazionale che studia il profilo ideologico dei vari partiti sulla base dei loro documenti programmatici, il più a sinistra di tutti, molto più di Sel. Eppure, gli elettori dei 5Stelle si distribuiscono abbastanza uniformemente lungo tutto l’asse destra- sinistra: non sono concentrati a sinistra, tutt’altro. Il partito quindi vive una ambiguità: ha un elettorato trasversale ma un programma e, soprattutto, una classe parlamentare (e in parte, locale) prevalentemente orientata a sinistra.
Questa contraddizione è stata fin qui superata dall’indignazione nei confronti della politica italiana. L’insofferenza, spinta fino alla repulsione, per la politica e i politici tradizionali ha messo le ali al movimento grillino catapultandolo dal livello locale della politica delle cose, promossa dai vari
meet- up, al grande gioco dell’antipolitica. Il combustibile della protesta ha fin qui bruciato ogni contraddizione. Ma il tempo delle scelte è arrivato. Il primo ad accorgersene sembrava essere stato proprio il fondatore, Beppe Grillo. Il suo passo di lato era la conditio sine qua non per consentire l’istituzionalizzazione della sua creatura. Allo stesso tempo esprimeva anche una sorta di spaesamento. Il suo spettacolo si leggeva come un dialogo pirandelliano tra l’uno che ha creato tutto e i centomila che l’hanno seguito, e che rischiano di risolversi in un nessuno (e in un nulla di fatto).
Hanno dimostrato una insospettabile resilienza ad un ambiente ostile e una buona capacità di apprendimento delle prassi istituzionali in Parlamento. Si è spesso dato conto delle baruffe che i deputati hanno scatenato in aula, meno del loro lavoro sui vari provvedimenti, a cui li sottoponeva il ferreo leninismo dei capigruppo. Ma il serio impegno nelle istituzioni non trova riscontro. Anzi, si può anche azzardare che non sia nemmeno apprezzato più di tanto da buona parte dell’elettorato grillino. Tanti che hanno votato 5Stelle perché facesse piazza pulita, non si accontentano di emendamenti, e soprattutto rifuggono da ogni idea di accordi, per definizione corruttori, con l’establishment dei vecchi partiti. Questa componente vuole i grillini sulla montagna, arroccati in uno splendido isolamento. Fino alla vittoria finale. È questo desiderio di palingenesi politica (non-violenta, peraltro e per fortuna) che alimenta torrenzialmente il bacino elettorale pentastellato. E non ha colore politico: attraversa tutto lo spazio politico destra-sinistra.
Abbandonare questa tensione rivoluzionaria a favore di un impegno riformatore, magari anche solido ed efficace, ma in accordo con altri, costa in termini elettorali. Il pragmatismo mal si concilia con gli ardori antipolitici a 360 gradi. Al rischio di un appiattimento sulla politica parlamentare vecchio stile e di una connotazione eccessivamente e “classicamente” di sinistra, Grillo ha ripreso la scena. Il contenuto del suo messaggio è ineccepibile — come criticare il richiamo alla libertà di coscienza su questi temi — ma il significato politico è altro: non scontentiamo il nostro elettorato moderato portando sangue ad un Pd in difficoltà. Di nuovo, un messaggio che rilancia l’ambiguità di fondo — e di successo — del partito: alterità al sistema e indifferenza ideologica.