Corriere La Lettura 7.2.16
Il primo zero
La testimonianza archeologica più antica è in Cambogia
Ma le radici filosofiche sono in India
E l’elaborazione più raffinata si deve agli studiosi musulmani che inventarono l’algebra
Finché il giovane pisano Leonardo Fibonacci non lo portò in Europa
di Amedeo Feniello
L’uomo,
nella sua storia, di rivoluzioni ne ha viste tante. Una, però, stupisce
più delle altre. Talmente grande che, ai nostri occhi, quasi svanisce.
Perché ormai banale. Scontata. La rivoluzione dei numeri. Una
rivoluzione tutt’altro che rapida. Ma lenta e tortuosa. Capace di
avviluppare, nel corso dei secoli, tre continenti: Asia, Africa ed
Europa. Regalandoci nove cifre e, con esse, lo zero. Il tutto, ben
combinato, rende possibile l’impossibile. Rappresentare — e calcolare —
qualunque tipo di numero di qualunque grandezza, minima quanto
incommensurabile. Con grazia. Con facilità. Brevi linee che, per
parafrasare Shakespeare, mescolate tra loro permettono a semplici sgorbi
di trasformarsi in milioni di miliardi. Tendenti all’infinito.
Dove
comincia questa storia? Non nell’Impero romano, in cui l’idea dello
zero era assente e l’elaborazione del calcolo arcaica e farraginosa. Ma
lontano. In un Oriente magnifico, fantastico, semisconosciuto. Ma di
preciso? L’itinerario è vasto. Va dalla Mesopotamia all’India fino alla
Cambogia. Là dove, racconta Amir D. Aczel nel suo libro Caccia allo zero
(Raffaello Cortina), a Sambor Prei Kuk negli anni Venti del Novecento
il francese Cœdès portò alla luce la prima testimonianza archeologica
dello zero, che anticipa almeno di due secoli quella indiana di Gwalior,
risalente al IX secolo della nostra era.
Tracce archeologiche.
Evidenti. Che ci riportano al nostro Medioevo. Ma il cammino è tanto più
antico. A partire proprio dalla penisola indiana. Dove il cuore di
tutto è lo Shunya . Che in indiano significa zero. Termine legato
all’idea buddhista di nulla, che viene definito infatti Shunyata .
Insomma, lo zero, il numero e il nulla buddhista — lo scopo della
meditazione e un ideale cui aspirare per raggiungere il Nirvana o
illuminazione — sono una cosa sola. Figli dello stesso concetto
filosofico. Profondo, ricco di simboli e di implicazioni. È lì la
matrice di ogni ragionamento.
Nella pratica, il nuovo sistema che
nasce si basa su tre idee chiave: le notazioni per le cifre, il valore
posizionale e lo zero. Sistema che viene elaborato nel Brahmasphuta
Siddhanta di Brahmagupta (VII secolo), che, per primo, descrive lo zero
come il risultato che otteniamo quando sottraiamo un numero da se
stesso. Ma se dottrina filosofica e matematica si fondono nel mondo
indiano, è la concretezza dei mercanti dell’economia-mondo musulmana
altomedievale che mette in moto questa macchina fatta di cifre facili da
adoperare nelle transazioni. Con una raffinatezza di calcolo che si
accentua di momento in momento, di anno in anno. Attraverso elaborazioni
che prevedono percentuali, frazioni, risoluzioni algebriche,
progressioni ecc.
Un’onda che secoli prima del Mille conquista
Bagdad e l’intero Nord Africa. Con matematici straordinari. Tra i più
grandi? Al-Khwarizmi, vissuto probabilmente tra il 750 e l’850, dal cui
nome volgarizzato in latino deriva il termine algoritmo. L’autore dell’
Al-Kitab , il trattato su quella che noi oggi chiamiamo l’algebra, nel
quale è presente un approccio sistematico alla soluzione delle equazioni
lineari, con un’ampia spiegazione di come si risolvano quelle
polinomiali fino al secondo grado. Un mondo in cui lo zero espande la
sua influenza e gli vengono conferiti attributi per sottrarlo
all’opacità della sua essenza di Niente che, aggiunto a qualcosa come un
numero, si trasforma in Tutto. Attributi che fioccano: lo chiamano il
Nulla o il Vuoto o il Vento: Sifr , termine che designa la cifra per
eccellenza. Parola derivata verosimilmente da Zephirus , da cui zero.
Per
l’Europa, la storia dello zero e dei suoi nove compagni comincia molto
dopo. E lontano dalle sue coste. Si parte dalla città nordafricana di
Bugia di Barberia, dove, alla fine del XII secolo, un giovane pisano,
Leonardo Fibonacci, come racconta lui stesso nel Liber abaci , viene
istruito fin dall’infanzia da maestri musulmani «nell’abaco al modo
degli Hindi» e a conoscere le «nove figure dei numeri usati dagli
indiani». Va detto che Leonardo non era il primo occidentale a conoscere
questa numerazione. In realtà, altri avevano assorbito dalla Spagna
musulmana la conoscenza delle nuove cifre. Basti pensare al Codex
Vigilanus , del 976. Oppure a Gerberto d’Aurillac, Papa Silvestro II,
che, circa negli stessi anni, cerca di migliorare l’efficienza
dell’abaco, usando simboli che adoperano una forma primitiva di cifre
indo-musulmane.
Tuttavia, prima di Fibonacci nessuno in Occidente
aveva compreso le potenzialità dei numeri indo-musulmani da applicare in
maniera costante sia al mondo del commercio sia nella vita quotidiana. È
a partire da lui che si comincia a sfruttare al meglio questa
innovazione, trasformandola in qualcosa di eccezionale. Però, non fu una
passeggiata. Per Guglielmo di Malmesbury i numeri non sono altro che
pericolosa magia saracena. Firenze, alla fine del Duecento, ha paura
dello zero, cifra oscura e segreta, e lo proibisce. Un pregiudizio che
dura a lungo: ad esempio all’Università di Padova i bibliotecari erano
tenuti a scrivere i prezzi dei libri «non per cifras sed per litteras
claras». Nel 1494 il sindaco di Francoforte ancora dava istruzioni ai
suoi capi contabili di «astenersi dal calcolare con le cifre».
Addirittura nel 1549 un canonico di Anversa ammoniva i mercanti a non
usare i numeri nei contratti e negli affari.
Ma si tratta di
scorie, in una società dove avanza a grandi passi la razionalità
contabile delle compagnie internazionali italiane ed europee. E
l’intuizione, nata nelle foreste della Cambogia e dell’India, ha ormai
mutato pelle, in profondità: non più patrimonio di pochi iniziati,
avvezzi ai simboli e alle pratiche filosofico-numeriche, ma strumento
rivoluzionario di conoscenza e di controllo della realtà. Emblema della
nuova epoca rampante, inarrestabile e aggressiva del capitalismo e
dell’egemonia occidentale.