Repubblica 5.2.16
I tre messaggi di super-Mario
di Ferdinando Giugliano
IERI Mario Draghi non avrebbe potuto scegliere un ambiente intellettualmente più ostile per le sue parole.
UN
appello in favore di nuovi interventi da parte della Banca Centrale
Europea per far risalire l’inflazione nella zona euro. Il presidente
della Bce stava infatti parlando all’interno degli uffici regionali
della Bundesbank, la potente banca centrale tedesca che da sempre è
scettica sulle misure non convenzionali di politica monetaria come
l’acquisto di titoli di stato. Seduto in platea c’era Jens Weidmann,
presidente della Bundesbank, che spesso si trova a dissentire da Draghi
all’interno del consiglio direttivo della Bce.
Il discorso è solo
l’ultimo di una serie di interventi che il presidente della Bce sta
pronunciando prima della riunione del consiglio direttivo di marzo, da
cui i mercati si aspettano nuove misure di stimolo. L’obiettivo è
presumibilmente quello di assicurarsi che ai piani alti della Bce ci sia
il sostegno necessario per approvare un pacchetto che non deluda le
attese. A gennaio, il presidente della Bce ha parlato di un consiglio
unanime nel sostenere la necessità di rivedere la politica monetaria tra
un mese, ma il rischio è che si crei un fronte interno, che limiti le
azioni di Draghi come è già successo a dicembre.
Ci sono pochi
dubbi che la lettura del presidente della Bce sia corretta dal punto di
vista economico. L’inflazione nella zona euro è allo 0,4 per cento, ben
al di sotto dell’obbiettivo di poco inferiore al 2 per cento che la Bce
si è posta. È proprio l’ortodossia monetaria cara alla Bundesbank a
richiedere che la banca centrale si muova per far tornare l’inflazione
al suo target.
Un’obiezione ripetuta più volte da Weidmann è che
la debolezza nella crescita dei prezzi sia legata soprattutto al crollo
del costo delle materie prime, un elemento che le banche centrali
dovrebbero ignorare perché temporaneo. Ma se questo ragionamento è in
teoria corretto, è anche vero che l’andamento dei prezzi escludendo il
costo di prodotti come il greggio resta comunque debole. Anche le
aspettative di inflazione, che misurano il rischio che consumatori e
aziende si aspettino prezzi più bassi in futuro e dunque rimandino le
loro decisioni di spesa e investimento, sono sotto il livello di
guardia.
Vincere la resistenza della Bundesbank, o quanto meno
isolarla, è dunque fondamentale per aiutare la ripresa europea che, come
mostrato dal taglio delle stime di crescita fatto ieri dalla
Commissione Europea, si scopre oggi più vulnerabile del previsto alle
debolezze delle economie emergenti. Il meeting della Bce di marzo è poi
fondamentale per riaffermare la credibilità di Draghi davanti ai
mercati: dopo le promesse di nuovi stimoli fatte a gennaio, le borse
hanno reagito in modo positivo per meno tempo che in passato. Si tratta
di un segnale che oggi gli investitori potrebbero essere meno convinti
della capacità di quello che avevano ribattezzato Super Mario di passare
dalle parole ai fatti.
Ma la Bundesbank non è l’unica istituzione
che farebbe bene a prendere nota del punto di vista del presidente
della Bce. Draghi ha parlato anche al governo di Berlino, uno dei suoi
più forti alleati nella decisione di lanciare prima lo scudo monetario
chiamato “Outright Monetary Transactions”, che rassicura i mercati che
la Bce si comporterà come prestatore di ultima istanza ai governi, e poi
il “Quantitative Easing”. Oggi Berlino punta i piedi sulla cosiddetta
garanzia comune sui depositi, che, come ha ricordato ieri Draghi, è
necessaria per completare il progetto di unione bancaria. Senza questa
garanzia, alcune banche, come quelle tedesche, verranno percepite come
più forti, per esempio, di quelle italiane, solo perché hanno alle
spalle un cordone di protezione — bancario e governativo — più solido.
Il
grido d’allarme di Draghi dovrebbe però raggiungere anche il nostro
governo a Roma, che giustamente si aspetta passi in avanti sia sul
fronte della politica monetaria sia su quello del completamento
dell’unione bancaria. Come ha dimostrato la storia recente, questi
progressi avvengono anche grazie a un clima di fiducia reciproca fra i
diversi Paesi che compongono la zona euro.
Gli attacchi continui
di porzioni del nostro esecutivo verso le istituzioni europee rischiano
di indebolire i già fragili compromessi su cui si basano i passi avanti
della moneta unica. L’indebolimento della spinta riformista, insieme ad
alcune scelte fiscali come il taglio delle tasse sulla prima casa invece
di un più forte sostegno agli investimenti o alle assunzioni, possono
poi finire col rafforzare quelle voci critiche che sostengono che
proprio quando la Bce agisce i governi si rilassano.
Un nuovo
rallentamento dell’economia mondiale potrebbe portare la Bce e le altre
istituzioni europee a discutere di misure che fino a pochi mesi fa
sembravano lontane. L’Italia deve essere una voce autorevole a questo
tavolo, non un lamento di sottofondo che gli altri Paesi fanno fatica a
ascoltare.