il manifesto 5.2.16
Renzi sulle spine della Ue
Il governo
chiede risposte in fretta sulla flessibilità, ma la Commissione prende
tempo. Moscovici: «Decideremo a maggio, rispettando il patto di
stabilità». Aggiornate le stime macroeconomiche. Crescita 2016 rivista
da +1,5% a +1,4%. Il disavanzo sale dal 2,4 al 2,5% del Pil. Per
l’Eurozona «i rischi aumentano»
di Andrea Colombo
La
risposta alla richiesta italiana di beneficiare della flessibilità
nella valutazione europea dei conti pubblici, per un totale di 16
miliardi, arriverà soltanto a maggio. Mercoledì il ministro
dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva chiesto di far presto, ricordando
che l’incertezza non aiuta la crescita. Oggi il commissario europeo
Pierre Moscovici risponde picche. Per il verdetto bisognerà attendere la
tarda primavera e a quel punto la Commissione adotterà «uno spirito di
sostegno delle riforme ma che non contravvenga al Patto di stabilità».
Tuttavia Moscovici si augura che «lo spirito del dialogo e del
compromesso prevalga sullo scontro». Troppo poco e troppo doveroso per
parlare di un’apertura. Tutt’al più si può dire che l’ambiguità del
commissario all’Economia e quella identica del presidente della
Commissione Jean-Claude Juncker, 24 ore prima, rivelano che la partita
non è chiusa e i margini per una mediazione ancora ci sono. Ma dovrà
essere, secondo Buxelles, una mediazione al ribasso, almeno dal punto di
vista dell’Italia.
Moscovici parlava nel corso della
presentazione delle ultime stime di crescita. Le variazioni, per quel
che riguarda l’economia italiana, sono al ribasso, però minime. La
previsione è un Pil 2016 dell’1,4% e non dell’1,5% , come preventivato
da Roma. Il rapporto deficit/Pil è di conseguenza inversamente
proporzionale: 2,5% e non il 2,4% che figura nei conti dell’Italia. La
variazione in sé non è rilevante. Molto più preoccupante è però il
quadro dello stato della Ue nel complesso. La stima di crescita è
passata dall’1,8% di novembre all’1,7% di ieri. Ma più che le
percentuali sono inquietanti i toni e le parole adoperate da Moscovici:
«prospettive sottoposte a grande incertezza», rischi complessivi che
«stanno aumentando». E’ l’immagine inequivocabile di un momento segnato
da difficoltà insidiose. Potrebbe risolversi con danni limitatissimi ma
anche volgere rapidamente al peggio. Va da sé che un quadro così denso
di nuvole non aiuta l’Italia. Per fronteggiare la minaccia, l’Europa
esorta alla «vigilanza», il che, uscendo dal generico, significa sì
«rafforzare gli investimenti» ma anche «completare il risanamento delle
finanze pubbliche».
La Ue non esce dalla sua posizione sibillina.
La Commissione si tiene in equilibrio tra i moniti severi e le promesse
di non esagerare col rigore. Di fatto prende tempo. Però i segnali
lanciati tra le righe da Moscovici non sono rassicuranti per il governo
di Renzi. E’ vero che l’anno scorso la spesa italiana è aumentata di
solo mezzo punto rispetto al 2014. Però è anche vero che «è più del
doppio rispetto al triennio 2011-2013». Ma soprattutto il commissario è
puntiglioso come l’ultimo dei ragionieri quando passa pubblicamente al
vaglio le richieste di flessibilità sulle quali Roma insiste tanto.
L’anno
scorso è stato concesso un margine dello 0,4% come riconoscimento delle
riforme attuate o in via d’attuazione. E’ praticamente certo che verrà
confermato, però, «solo per essere molto chiaro», Moscovici ricorda che
«l’Italia è il solo Paese a beneficiare di quella clausola per le
riforme strutturali». Poi sono arrivate nuove richieste: ancora per le
riforme, per l’emergenza migranti, per combattere il terrorismo, per
«migliorare l’educazione». Di fronte a questa pletora di margini
invocati «noi, ex post, oggettivamente, guarderemo alle richieste.
Dobbiamo rimanere calmi, sereni, pazienti, e avere un dialogo di
qualità».
Dietro questa fiera delle banalità si nasconde in realtà
un rifiuto: quello di spostare il dibattito dal piano della pura
ragioneria a quello della politica e della progettualità di più ampio
respiro. Quel che il governo italiano chiede e che la Commissione non ha
alcuna intenzione di concedere. In più Renzi, anche a scopo puramente
elettorale, ha bisogno di reclamare la svolta a voce altissima, mentre i
«burocrati» di Bruxelles insistono per una trattativa fatta sottovoce,
al riparo dalle luci della ribalta, dibattendo decimale per decimale. Se
si aggiunge che, anche nell’immediato, l’Italia rischia per l’anno
prossimo una procedura che gli legherebbe le mani dove ha più bisogno di
mantenerle libere, sul fronte della spesa, si capisce perché la pace
tra Roma e Bruxelles non sia affatto vicina.