Repubblica 4.2.16
Amore e perdono nell’ultimo sogno così il cervello si prepara all’addio
Un’équipe di medici americani sta studiando le visioni oniriche dei malati terminali
I
pazienti raccontano di esperienze confortanti Come un bilancio prima di
un lungo viaggio “Sembrano premonizioni. Come scienziati abbiamo il
dovere di analizzarle”
di Jan Hoffman
LUCIEN
Majors, 84 anni e un tumore all’ultimo stadio, una sera si è seduto al
tavolo con la moglie accanto e ha raccontato a un medico dell’Hospice
Buffalo un sogno recente. Nel sogno si trovava in auto con la grande
amica di sempre, Carmen, e i tre figli adolescenti. «Ci siamo messi alla
ricerca del Grand Canyon, e alla fine l’abbiamo trovato», ha riferito
Majors con gli occhi celesti slavati dilatati dalla gioia al ricordo di
quella gita. Nella realtà, Majors non parlava con Carmen da più di
vent’anni e i suoi figli erano tutti sulla sessantina. Christopher W.
Kerr, il dottore dell’Hospice Buffalo specializzato in cure palliative e
che studia il ruolo terapeutico dei sogni e delle visioni dei pazienti
prossimi alla fine, gli ha domandato come mai nel sogno i suoi figli
fossero in auto con lui. «I miei figli sono il più gran successo della
mia vita», ha risposto Majors. Tre settimane dopo è morto.
Da
migliaia di anni i sogni e le visioni dei moribondi affascinano le
culture, che li hanno caricati di un significato mistico. Antropologi,
teologi e sociologi hanno studiato i fenomeni delle visioni sul letto di
morte. Queste compaiono anche in testi medievali e in dipinti del
Rinascimento, nelle opere di Shakespeare e in brani di romanzi americani
e britannici del XIX secolo, in particolare di Dickens. Una delle scene
più celebri della storia del cinema è il misterioso sussurro sul letto
di morte in Quarto potere: «Rosebud! ». Perfino la legge onora le ultime
parole di un moribondo, e permette che siano addotte come prove in
un’insolita eccezione alle regole sul sentito dire. Nel mondo della
medicina odierna, esperienze di questo tipo sono state osservate da
psicologi, assistenti sociali e infermieri. I medici tuttavia tendono a
tenersene alla larga. Alcuni ricercatori presumono che pazienti e medici
evitino di riferire questi fenomeni per paura di essere presi in giro.
Adesso però all’Hospice Buffalo un team di medici specialisti e
ricercatori guidati da Kerr, un internista che ha un dottorato in
neurobiologia, sta cercando di chiarire il mistero di queste esperienze e
di spiegarne la funzione e l’importanza nel favorire una “buona morte”.
Per il loro fondamentale studio, pubblicato sul Journal of Palliative
Medicine, i ricercatori hanno intervistato 59 malati terminali
dell’Hospice Buffalo. Quasi tutti hanno riferito di aver fatto sogni o
visioni, descrivendone la maggior parte in termini confortanti. I sogni e
le visioni si possono vagamente dividere in categorie: l’occasione di
entrare in contatto con i defunti; le persone care che “aspettano”; gli
impegni non portati a compimento. L’amore, dato o rifiutato, è presente
in tutti i sogni, come anche l’esigenza di prendere decisioni e di
accordare il perdono. Nei sogni i pazienti hanno ricevuto rassicurazioni
di essere stati bravi genitori, bravi figli e bravi lavoratori. Hanno
fatto le valigie, preparandosi a intraprendere un viaggio e, come
Majors, in sogno spesso hanno viaggiato in compagnia di cari amici che
hanno fatto loro da guida. Nove giorni prima di morire, una signora di
54 anni ha sognato un amico di gioventù che decine di anni prima le
aveva provocato un grande dolore. L’amico, ormai deceduto, le è apparso
avanti negli anni e le ha chiesto perdono, rassicurandola e dicendole
che lei era «un’ottima persona: se hai bisogno di me, ti basta chiamarmi
».
La ricerca muove ancora i primi passi, la sfida è aiutare i
pazienti a sentirsi meno soli durante quest’insolita esperienza da
moribondi. Nei giorni antecedenti alla morte, i sogni dei pazienti hanno
mostrato una propensione a ripetersi con maggiore frequenza, popolati
più dai cari defunti che dagli affetti ancora vivi. I ricercatori
ipotizzano che questi fenomeni possano avere addirittura un valore di
premonizione. Anne Banas, neurologa dell’Hospice Buffalo, si chiede:
«C’è qualcosa di vero nelle visioni o si tratta di pensieri
disorganizzati? Assicurano conforto ai moribondi? Abbiamo la
responsabilità di domandarcelo: questo tipo di esperienze è catartico. E
chissà che cosa potremmo perderci, se non dessimo loro il giusto
peso!».
Traduzione di Anna Bissanti © 2016 New York Times News Service